martedì 11 ottobre 2011

trasferiti ad altro incarico

di lo Scorfano
 
La categoria professionale a cui mi onoro (ehm) di appartenere è, per dato universalmente noto e da diversi anni riconosciuto e considerato preoccupante, la più soggetta alla cosiddetta Sindrome da burnout: vale a dire, copio da wikipedia, «l'esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano professioni d'aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li porta ad assumere»; «il burnout comporta esaurimento emotivo, depersonalizzazione, un atteggiamento spesso improntato al cinismo e un sentimento di ridotta realizzazione personale. Il soggetto tende a sfuggire l'ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso e lavorando con entusiasmo ed interesse sempre minori, a provare frustrazione e insoddisfazione, nonché una ridotta empatia nei confronti delle persone delle quali dovrebbe occuparsi».

I casi di sindrome da burnout molto grave determinano, com' è ovvio, l'allontanamento dalla professione docente e la riconversione ad altro incarico. Successe qualche anno fa, ed è un ricordo personale e struggente, a un mio collega, che nelle ultime settimane in cui lavorava con gli studenti sognava quasi tutte le notti (me lo confessò lui stesso, tra le lacrime) di dirigere un forno crematorio (come quelli che si ricordava di avere visto a Dachau, in una gita paradossalmente scolastica) e di infilare nei forni i corpi dei suoi allievi, uno per uno. Fu destinato ad altro incarico, anche lui. Per fortuna sua e dei suoi allievi, naturalmente. 


È successo, negli anni, che la sindrome da burnout si sia fatta sempre più frequente tra gli insegnanti, ed è quindi successo che molti di loro, allontanati dall'insegnamento, abbiano frequentato corsi di specializzazione per diventare bibliotecari (ciò fece il mio collega, di cui poi ho però perso le tracce); ed è quindi successo che a loro sia stata affidata la gestione (poverissima) delle poverissime biblioteche scolastiche (laddove presenti).

Naturalmente le biblioteche scolastiche sono un'istituzione meritoria e che tutti vorremmo molto più capillare e ricca di quello che attualmente è. Ci piacerebbe che i ragazzi potessero prendere a presto libri, leggerli, scambiarseli, parlarne in classe, averli a disposizione per la consultazione. Sogniamo (o almeno lo sogno io) un futuro in cui un qualsiasi studente italiano potrà accedere a una biblioteca on line e consultare il materiale di cui ha bisogno, per studio o anche solo per curiosità. Ma naturalmente le biblioteche (e anche i sogni) per poter funzionare hanno bisogno sia di risorse economiche, sia di personale qualificato.

Le risorse economiche non ci sono, lo sanno tutti. Il personale qualificato, invece, c'è (anche se solo in parte). O almeno c'era, visto che era costituito proprio da quei colleghi per varie ragioni (tra cui il burnout è la prima) allontanati dall'insegnamento. C'era ieri, il personale qualificato, e forse non ci sarà più domani.

Perché una legge emanata proprio quest'estate, la 111/2011 «per la stabilizzazione finanziaria e per il contenimento della spesa pubblica» (sì, è la manovra di luglio), al comma 12 dell'articolo 19, obbliga i docenti non idonei all'insegnamento e impiegati come bibliotecari scolastici al trasferimento ad altri incarichi nella pubblica amministrazione (a fare i bidelli, in sostanza). E dunque non solo da domani non ci saranno le risorse: non ci sarà nemmeno più il personale (chiamato a tappare i buchi lasciati scoperti dai tagli al personale non docente degli ultimi tre anni: le cicatrici, prima o poi, dolgono).

C'è stata qualche protesta isolata e ben poco mediatica, che forse avrebbe meritato un poì' più di seguito. Ha protestato, qualche giorno fa, anche il presidente dell'Aib, l'associazione delle biblioteche italiane, non il primo che passava per strada. Ha scritto una lettera (segnalata da Lucia LT) in cui spiega molto bene il danno che questa scelta potrà provocare nel medio termine, se avete il tempo di leggerla.

Piacerebbe, in un mondo leggermente meno imperfetto di questo, che si potesse investire qualcosa sulle biblioteche scolastiche invece di abbandonarle (con piccoli, ma decisivi atti come questo) al loro destino. Piacerebbe poter dire ai ragazzi (quelli che non hanno i libri a casa, in particolare), durante una lezione: «Vai in biblioteca, dove trovi qualcuno che ti aiuterà a fare quella ricerca meglio di come posso fare io adesso». Il rilancio dell'istruzione passerebbe anche (anche) attraverso questi minimi atti: poca roba, all'apparenza; in realtà molto, visto che poi escono gli articoli da prima pagina quando le statistiche internazionali rivelano che siamo una nazione di incalliti non-lettori. E noi pochi lettori ci scandalizziamo. Ma scandalizzarsi per l'effetto serve a poco se non ci si interroga, anche, ogni tanto, sulle tante piccole cause di ciò che, giustamente, ci scandalizza.

E forse quello che sta accadendo in queste settimane, a causa dell'articolo 19 della legge 111/2011, ai bibliotecari scolastici trasferiti ad altra mansione, forse è una di quelle piccole cause (una tra le molte) che meriterebbero il nostro piccolo scandalizzarci. E saperlo.

25 commenti:

  1. Molto vero. Sottolineo e sottoscrivo. Negli anni di dottorato, mentre provavo a fare i vari lavori che avrei potuto fare in seguito (in modo da capire quale fosse a me più congeniale) ho anche incrociato per un po' di tempo il lavoro in biblioteca. Per far questo ho avuto una formazione di base, e poi una più specifica. E anche grazie a questa esperienza sottolineo quanto dici. Per una biblioteca ci vuole, banalmente, un bibliotecario esperto. E no, non va bene un professore volontario in ora libera. Specie in quella delicatissima istituzione che sono le biblioteche scolastiche dove gli utenti (e non è certo una colpa, semplicemente, sono giovani) non hanno nessuna competenza di cataloghi e sistemi di ricerca. Ci vuole qualcuno che abbia invece esperienza di biblioteconomia, classificazione, cataloghi. E, certo, un volontario è (come sempre più spesso ci tocca dire nella scuola) meglio di un calcio in bocca. Ma un bibliotecario è altra cosa.

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  2. La storia del tuo collega è spaventosa e preferisco credere che tu la abbia inventata.
    Antonio.

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  3. Dato che a parlarne senza numeri diventa difficile capire: quante sono le biblioteche scolastiche? Quanti gli 'inidonei' trasferiti a fare i bibliotecari?

    Quanti sono poi gli studenti che fruiscono delle biblioteche? Quali sono i meccanismi che la scuola mette in atto per incentivare gli studenti a utilizzare la biblioteca?

    Senza alcuna volonta' di offendere, parto con un pregiudizio, temo. Che cioe' tante di queste biblioteche siano un 'tana' per gli 'inidonei'.
    Mi spiego: ho fatto il liceo quasi quindici anni fa, sono uscito con buoni voti, e ricordo di essere stato, ai tempi, un accanito divoratore di libri, dieci al mese in media. Ecco: il nostro liceo scientifico, con oltre 1000 alunni, aveva una bella biblioteca. Di cui io ho scoperto l'esistenza solo nell'ultimo anno di frequentazione, e che era sempre deserta.
    La mia storia e' personale e quindi non vale nulla. Per questo ho chiesto un po' di numeri.

    Sempre armato del mio civile pregiudizio, e in fondo spero di essere sbugiardato e smentito (fosse per me, potremmo destinare alla scuola l'intero budget della Difesa, e mandare a quel paese l'esercito...) mi domando:
    Ma il problema, sono le biblioteche o gli 'inidonei'?
    Qual'e' il fine ultimo: salvare il lavoro di questi ex insegnanti (preferiscono certo essere declassati a bibliotecari che a bidelli), o salvare le biblioteche scolastiche? Io temo il primo, ma vi prego, contradditemi.

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  4. caro Davide
    ho quasi 58 anni, diciamo quasi 60, va'... insegno da 25, almeno. tra alti e bassi, ora più ora meno (ora più, a dire il vero) soffro delle conseguenze "di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano professioni d'aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li porta ad assumere". queste sono le conseguenze del mio lavoro. è un infortunio sul lavoro, non traumatico, ma che si rivela in uno stillicidio di disagi protratti nel tempo. perché non dovrei voler salvare il mio (posto di) lavoro?
    gli inidonei trasferiti alle biblioteche non sono molti. il loro lavoro è prezioso e andrebbero sostenuti, non privati di risorse, per tutti i motivi che ha ben elencato lo scorfano. ma accanirsi contro i deboli (deboli perché diventati inidonei e perché pochi) è lo sport preferito del nostro governo.

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  5. avevo scritto un lungo commento, ma, forse effettivamente troppo lungo, non me lo lascia postare. Te l'ho spedito all'indirizzo mail nuovo che segnali.

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  6. @Antonio
    La storia del mio collega è, purtroppo, veritiera.

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  7. @Davide
    Il commento a cui la 'povna accenna qui sopra, e che io ho ricevuto via mail, è molto bello ed esauriente (per quanto mi riguarda). Appena riceverò il suo assenso, lo pubblicherò io, a suo nome: ti prego di considerarla anche una mia risposta alle tue, sensate, obiezioni.

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  8. Senza contare che come dici tu, con l'avvento delle "nuove" tecnologìe sarebbe utile disporre di personale che possa occuparsi della gestione di risorse on-line, piattaforme su cui inserire materiale, gestire spazi di condivisione di sapere tra studenti (in campo linguistico ci fanno una testa così sull'apprendimento in cooperazione), anche per insegnare agli studenti che per reperire risorse non esiste solo wikipedia o yahoo answer.
    Ed è umiliante per qualcuno che si è formato in un lavoro delicatissimo come l'insegnamento, magari in crisi per sovraccarico, trovarsi a fare un altro lavoro molto poco specializzato (anche se comunque di responsabilità) per cui oltretutto altri (per cui quel lavoro sarebbe importante per tirare avanti una famiglia) sono in "lista d'attesa".
    In un mondo ideale dovrebbe essere garantita la possibilità(e forse l'obbligatorietà) per un docente di usufruire di un anno sabbatico, di collaborare con colleghi di altre scuole, di "uscire" da situazioni scolastiche paludate e potersi migliorare. E mantenere la passione per il proprio lavoro. E sono convinta che la cosa non ruberebbe neppure troppe risorse. Ciò che manca è la volontà politica.

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  9. Sottoscrivo questo commento della 'povna, che pubblico io (in due parti) perché Blogger ci è nemico. Mi pare che dica le parole più pertinenti sulla questione:

    @Davide: io credo che la verità stia nel mezzo. E che come al solito si sia creato un circolo, che la mancanza di mezzi, volontà, consapevolezza e spesso buona fede (non parlo di te, dico in generale e del ministero e spesso purtroppo di certa parte del mondo della scuola) rende vizioso. Le biblioteche scolastiche, come tu dici, non vivono di soli bibliotecari, ma anche di: utenti (che devono essere resi consapevoli, come tu giustamente ricordi) e di libri (quindi di una politica di acquisti adeguata). Normalmente oramai a scuola non c'è nessuna consapevolezza e di questo ti do ragione. Due anni fa, giusto per fare un altro esempio che non fa statistica, Mr. Mifflin (che non è solo il personaggio del romanzo di Morley, ma uno dei maggiori esperti mondiali - mondiali - di biblioteconomia) ha donato parte della sua collezione libraria di doppi [numero complessivo, circa 5000 volumi] che riteneva adatti alla mia scuola. La questione è stata così poco compresa che il vicepreside quel giorno non si è nemmeno degnato di venire ad accoglierlo, e chi c'era (perlopiù: gli alunni) ha fatto il possibile per esternare una goffa gratitudine, quando va da sé che si sarebbe potuto organizzare un incontro con lui (disponibile), approfittare per informarsi su possibilità future etc etc). Ma non è che nella mia scuola sono (solo) tutti stronzi. Non hanno fondi, non hanno soldi, ci hanno tolto la bibliotecaria da tempo. I libri di Mr. Mifflin sono in bella vista in una teca (in molte teche) ora con la scritta "dono di Mr. Mifflin". Ma non sono catalogati. Dunque non vengono usati. Dunque muoiono.

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  10. (seconda parte):

    Veniamo al dunque. Io ho conosciuto bibliotecari scolastici di 3 specie. Alcuni (una minoranza. perlopiù in tempi assai passati e nella provincia della provincia) che erano lì solo in quanto bibliotecari, senza essere stati destinati ad altro incarico. Va da sé, per lo più bravissimi. Poi ho conosciuto una serie di bibliotecari destinati ad altro incarico (non tutti, va detto, per questioni di burn out, ma anche) che erano bravi, ma, soprattutto, competenti. Perché avevano frequentato i corsi di cui parla l'AIB nel suo comunicato (si era all'inizio del radicamento della disciplina in ambito accademico, e l'AIB teneva molto a investire in nuovi modi di pensare la biblioteconomia come, sul modello estero, le biblioteche scolastiche; ed era fatta, così come ora, da persone competenti). Era così la nostra bibliotecaria scolastica, per esempio, reduce da burn out, in gamba, capace. Un tantino puntigliosetta, forse (ma non è un male): sapeva consigliare gli studenti per benino.
    E poi c'è la terza categoria, quella cui tu fai riferimento, di gente che non è in grado più di lavorare al pubblico in assoluto, che ha sviluppato patologie troppo gravi per essere comunque inserito in un lavoro di precisione e in mezzo a una comunità. Ho conosciuto anche bibliotecari di questo tipo (nell'altro plesso della scuola: una per esempio si chiudeva a chiave in biblioteca e ti urlava se provavi a entrare nelle ore stabilite). Devo dire che, mediamente, questi casi fanno parte di una seconda ondata - quando già le sovvenzioni ministeriali per i corsi AIB non ci sono state più ma è rimasta prassi destinare docenti non in grado di insegnare a funzioni di (la virgoletta è d'obbligo) 'bibliocario'. E allora: dove nasce l'uovo, e dove la gallina? E' chiaro che - se tagli i fondi per riconvertire (passatemi il termine tremendo) un docente in bibliotecario attraverso un buon corso, e se non selezioni in partenza chi è adatto, e chi no - Il passo successivo porta, inevitabilmente, a chiudere le biblioteche scolastiche (prima ancora che per mancanza di personale per mancanza di consapevolezza) e poi, passo dopo passo, a questa proposta ministeriale. Della quale però anche prendendo le tue obiezioni, che credo valide, si possono dire ancora due cose. La prima è che se ho la sindrome da burn out che mi fa urlare addosso alla gente, non sono adatto nemmeno come custode (che è poi la prima faccia che si incontra in un luogo pubblico e che, nella scuola, ha, eccome, a che fare con le persone). La seconda è che questo provvedimento, come sempre, non distingue il bambino dall'acqua sporca. E - chiamala fiducia acritica (però motivata dalla conoscenza) - se l'AIB si è mossa, siccome sono seri, e una delle loro caratteristiche è battersi proprio perché il profilo biblioteconomico sia riconosciuto e non dilettantesco - significa che persone del primo e del secondo tipo ce ne sono ancora parecchie, direi la maggioranza, nella scuola.

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  11. Se uno viene assunto per fare l'insegnante, ma non è capace di fare l'insegnante fino a sbottare nel burn out, non sarà il caso di licenziarlo?

    Così il bibliotecario lo facciamo fare ad una persona capace?

    Perché è vero che l'abbassamento del livello dei bibliotecari è figlio della mancanza di fondi, ma la mancanza di fondi non è ragione sufficiente.

    Mi spiego: prima c'erano i prof. e i bibliotecari. Poi ci sono stati solo i prof. e i prof. scoppiati riconvertiti in bibliotecari (in parte). I bibliotecari del tempo d'oro, mi sembra di capire, sono stati mandati a spasso.

    Non sarebbe il caso di riprendere i bibliotecari a spasso e risparmiare sui prof. che sono evidentemente fuori posto, licenziandoli e avere biblioteche che funzionano meglio?

    La risposta in realtà la so già: sì, sarebbe meglio, ma per licenziare uno statale ci vuole una legge dello Stato.

    Va bene, teniamoci le biblioteche scassate.

    Uqbal

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  12. Oh, a me, m'avete convinto.
    Tra l'altro ho famigliarita' con la sindrome del burnout, perche' ho un paio di amici psicologi che esercitano, e quindi so bene che non e' una "menata".
    Il mio commento e' stato volutamente un po' provocatorio, ma credo tutto sommato civile; provatevi ora a immaginare come gestirebbe la questione un politico, un po' grezzo, di quelli che c'abbiamo adesso in Italia. Ma soprattutto, come una questione del genere verrebbe discussa in un salotto, o a cena tra amici, in famiglie...

    Ecco, io ho paura che gli argomenti, da me pacatamente esposti in forma di quesito e a cui voi avete dato risposta, verrebbero facilmente confutati, anzi respinti, anzi nemmeno uditi. Senza offesa ma al punto in cui 'burnout' si declina in 'inidoneo' e 'altra destinazione'... ecco, gia' qui scatterebbe il "mo k'vaghen a cagher... di' cal vadan a lavurer" (che vadano a cagare, digli che vadano a lavorare).

    Insomma - facendomi autonominato mediatore tra le complesse esigenze di questa comunita', e la gretta fame per i tagli orizzontali di chi paga le tasse ed e' convinto che queste vadano sprecate anche (sottolineo: anche) in cose come questa - suggerirei ai professori di proporre temi come questo con la massima cautela.
    Il mondo e' pieno di categorie dove il burnout o l'inidoneita' si traducono in un licenziamento. Punto. Altro che ricollocamento a bidello o bibliotecario. In un momento di panico generale come questo, discorsi tanto sottili non li vorra' fare nessuno. Insomma, faccio un po' il menagramo: quando taglieranno anche i bibliotecari diro' "Eh, lo sapevo." E li taglieranno mica per cattiveria o malafede, credo solo per ignoranza.

    L'ultimo punto (ammesso che il fine ultimo della scuola siano ancora gli studenti, e non i professori, i posti di lavoro, le biblioteche): quale sarebbe il metodo migliore per gestire queste biblioteche?
    (Domanda reale, qui non c'e' provocazione)
    Che spazio ha il digitale, ad esempio, in queste strutture?

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  13. Davide

    Se a fare il bibliotecario mandi le scartine, poi passa l'idea che i bibliotecari sono una razza di incapaci, e che non servono a niente.

    Ed è chiaro che non è vero, ma finisce per diventare vero che, tendenzialmente, quei bibliotecari effettivamente non servono a niente. E a quel punto si può buttare il bambino con l'acqua sporca.

    Uqbal

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  14. @Uqbal
    "Se uno viene assunto per fare l'insegnante, ma non è capace di fare l'insegnante fino a sbottare nel burn out, non sarà il caso di licenziarlo?"

    Il problema è che lo stress psicologico andrebbe riconosciuto. Perché comunque esiste per tutti i prof e non è giusto sia penalizzato chi è più debole, soprattutto quando il datore di lavoro (stato) ti dà sempre meno strumenti per farlo bene, il tuo lavoro.
    Poi se un operaio, dopo essersi respirato merda per anni, sviluppa un tumore e a seguito di questo viene licenziato, scatta la solidarietà generale. Con un prof no. Questo la dice lunga sulla considerazione di cui godono (godiamo) come lavoratori.

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  15. Quindi, ha al, se uno si è rovinato la vita per fare l'insegnante (mai visto uno scansafatiche soffrire di burn out, se lo prendono quelli che sono molto impegnati nella professione) lo licenziamo e che muoia di fame. Ah, ok.

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  16. Eva

    Io sono un professore. Se sei stato mobbizzato è un caso.

    Se semplicemente non reggi o non sei adatto, forse bisogna aiutarti, ma è evidente che il lavoro non viene ben fatto. Il licenziamento non è una punizione, è una presa d'atto. Se un chirurgo per lo stress fa tremare la mano, non può fare quel mestiere...

    E se io fossi un bibliotecario professionista, troverei irritante vedere che il mio mestiere è ridotto a poco più di un sussidio di disabilità.

    La solidarietà con i problemi di una persona va bene. Ma non deve interferire con la qualità della scuola.

    D'altronde: se il professore fosse alcolizzato o drogato (e Dio sa quanto dolore ci sia in chi si affida a queste robe), continuereste a pensare: "poverino aiutiamolo, non licenziamolo"?

    Sareste tu e Galatea disposte ad estendere la solidarietà del non licenziamento all'assistente che si faceva di eroina nel bagno di una scuola?

    Perché anche quella è una vittima, spero lo riconosciate.

    Cominciamo a ragionare sulla necessità di un rapporto causa effetto tra la qualità del proprio lavoro e lo stipendio che si prende...

    Uqbal

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  17. molto brevemente (che oggi non sono nemmeno a casa mia, e scrivo da una dei dormi-'povna sparsi per l'Italia) solo per chiarire con Uqbal che secondo me diciamo abbastanza la stessa cosa e che io non ho detto che i cattivi bibliotecari sono figli solo di mancanza di fondi, ma che c'è stato un momento che una parte (adeguata) del personale (non più) docente è stata messa in biblioteca previa formazione fatta attraverso una serie di corsi seri dell'ABI. I quali corsi, che io conosco (perché dall'ABI sono stata formata anche io, e tramite l'ABI sono pure andata 'in missione' all'estero in quanto insegnante con competenze biblioteconomiche per catalogare e formare il personale per farlo poi in autonomia la biblioteca di una scuola di Heidelberg), sono buoni corsi. Non finti. Che formano buoni bibliotecari (che corrispondono al punto 2 della mia casistica). Il che non esclude il punto 3, che non ha da essere, mai. E concordo. Però bisogna chiedersi sia come ci sia arrivata sia (nello specifico) essere mandati a fare un'altra mansione per cui non si ha la preparazione, magari sempre al pubblico, risolva qualcosa.

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  18. Il fatto è che, secondo me, molto può essere fatto per prevenire l'esaurimento degli insegnanti. "Spezzare" la rutine di classe con periodi di formazione potrebbe essere utile in tal senso, confrontare la propria esperienza di insegnamento con altri può aiutare ad avere una visione più ampia ed affrontare con più distacco eventuali problemi di gestione del gruppo classe, e così sarebbe importante ricevere una formazione specifica nell'ambito della gestione dei conflitti, come pure potersi valorizzare occupandosi di progetti di più largo respiro eccetera.
    Poi c'è il problema fondamentale che un insegnante ha pochissime alternative. se sei un chirurgo a cui trema la mano, come dici tu, puoi scegliere una diversa specializzazione o fare il medico di base. Se sei un insegnante la cosa si fa più difficile. Ad esempio insegnare agli adulti può risultare meno frustrante, per il diverso rapporto che si instaura fra studente e insegnante. Ma anche se ci sarebbe domanda nel campo dell'educazione agli adulti, e così pure un interesse da parte della collettività ad implementarlo, rimane una opzione di difficile accesso (e se non sbaglio la scure dei tagli ha colpito pure i CTP).

    Poi c'è il discorso che il burn out è una malattia professionale. Magari si può essere soggetti a rischio perché più deboli psicologicamente. O perché si è in un momento di maggiore fragilità nella propria vita. Ma èindubbio che quella dell'insegnante èuna professione che parecchio stress te lo fa incamerare...

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  19. Cari tutti, arrivo qui a rimorchio di 'povna, che mi sta aprendo con i suoi link nuovi mondi.
    Vogliamo dire che il problema di quelli che, comunque "non ce la fanno più" esiste in tutti i campi, ed è un problema sociale, ormai ? Ma sapete che ca il 10% della popolazione tira avanti ad ansiolitici (o farmaci neuroattivi di altro tipo) ?
    Il primo ad essere preoccupato, che so, se il mio medico è in burn-out, sono io, è giusto allontanare queste persone dalla situazione che li ha portati a quel punto, ma poi, che cosa ne facciamo di tutta 'sta gente ?
    Il vecchio Adolfo li avrebbe definiti razza inferiore, e passati per il camino, ma non mi sembra il caso (se la si legge diacronicamente, vuol dire che potreste passare il 10% della vostra vita sorretti da psicofarmaci).
    E allora ? Non è che bisognerebbe pensare ad una assistenza medica SERIA per queste persone ?

    Anonimo SQ (Anto 561)

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  20. Eva

    Tu vedi la cosa dal punto di vista del professore "vittima".

    Ma nei panni degli studenti ti ci sei messa?

    L'aiuto da dare al professore malato deve essere scaricato sugli studenti o sugli utenti che di questo poveraccio devono subire i problemi?

    Perché magari, poverino, il prof. col burn out ha bisogno d'aiuto, ma se uno studente che va in biblioteca si ritrova sommerso di urla, siamo d'accordo che c'è un problema tale per cui quella persona va allontanata per il bene degli studenti?

    Il costo dell'assistenza ad una persona malata deve essere a carico di tutti o soltanto della persona competente e formata che potrebbe svolgere un lavoro efficace e invece rimane disoccupata per permettere al burnt out che, poverino, in qualche modo deve vivere?

    Ci hai pensato? Buon per il chirurgo se può cambiare campo, ma se nel mondo dell'istruzione non si può, allora la tua conclusione è che il burnt out deve continuare a fare danno (perché se la sindrome è conclamata, quello fa).

    A quel punto, anche se ci fosse domanda nell'istruzione degli adulti o in altro campo, io lo preferirei licenziato e con sussidio per la disabilità, se possibile, ma non "paternalizzato" e lasciato su uno strapuntino.

    Uqbal

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  21. Ma guarda che sono d'accordo con te.
    Infatti quello che dico è che si dovrebbe intervenire prima di arrivare ad un punto critico.
    Fare una attività di prevenzione, partendo dalla valorizzazione del lavoro di insegnamento, in ogni caso, e migliorando la condizione generale del corpo insegnante.
    Dopo di che, per quei casi in cui si verifica il "crollo", è giusto pensare a una riconversione, perché non è giusto neppure buttare per strada il lavoratore che per ragioni legate alla propria professione usurante, si trovi impossibilitato a continuare, e per di più, nel caso da te descritto, con una situazione profondamente invalidante che lo impossibilita a fare qualsiasi altro lavoro di rapporto con il pubblico. E anzi tutto considerando che magari non è una situazione permanente ma che ha bisogno di un adeguato periodo di cura, convalescenza e supporto.

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  22. Salve,
    abbandono momentaneamente la posizione di lettrice silente per dare a questa vivace discussione il mio contributo personale.
    La piccola esperienza di cui voglio rendervi partecipi riguarda il mio fresco trascorso da studentessa di un liceo e il mio (non)rapporto con la biblioteca d'istituto. Quando inizi un nuovo percorso scolastico, tendenzialmente, finisci col domandarti quali siano le risorse a tua disposizione: nel mio caso appresi che, un giorno lontano lontano, era effettivamente esistito un locale adibito unicamente a "biblioteca" (come ricordato nel POF, giusto sotto il numero delle capienti aule) ma esso, nel frattempo, era divenuto aula professori; un'etichetta che uccide facilmente l'entusiasmo passeggero della novellina, oltre a rendere oggettivamente difficoltoso, se mai si fosse creato, un flusso di studenti/utilizzatori. Non impossibile ma certamente non incentivato, anche per la mancanza di addetti ad hoc. Si era trattato di una mossa comunque comprensibile guardando al quadro più ampio dei rocamboleschi ma vitali tentativi di procurare nuovo spazio/aule: vi basti sapere che quell'anno, come i 2/3 precedenti, fu benedetto dalla formazione di talmente tante classi da richiedere l'adattamento ad aule dei laboratori e financo dell'anticamera di un bagno necessariamente in disuso.
    Poi, man mano, il numero delle classi complessive rientrò nei limiti del sostenibile (era passata la moda dello scientifico) e con po' di sana riorganizzazione l'ormai affiatata accoppiata biblioteca/aula prof. si sciolse e, per giunta, guadagnammo un "qualcuno" che se ne occupasse. Frequentavo il quarto anno, non sfruttai poi tanto la risorsa in questione, ma scoprii che per vaghe, misteriosissime e personalissime ragioni, talvolta succeda che un professore si reinventi bibliotecario. -->

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  23. Ed è qui che - se avete resistito alla lettura di questo papiro dispersivo - vorrei puntare la vostra attenzione: io da studente, e non credo di essere stata un'eccezione, non ho mai veramente preso consapevolezza del disagio che può annidarsi dietro la cattedra. Non parlo solo del riconoscimento del ragionevole sforzo che chiunque deve affrontare per imporsi con autorevolezza (non solo autorità) ad una platea riottosa, intendo proprio il vuoto percettivo che hanno gli "utenti" della problematica del burnt out. Mai sentito nominare prima della lettura di blog di gente del mestiere, nonostante abbia all'attivo un considerevole numero di conferenze sulla sicurezza sul lavoro e sulle garanzie sindacale.
    Mi chiedo,però, se sia poi d'aiuto lo sdoganamento di questa immagine di invalido: sarà una persona inabile in quella professione ma non per questo incapace in ogni ambito,ed essere indicato a vista come "scoppiato" dalla mamma tutta cuore e niente cervello di turno, e poi da eventuali datori di lavoro gonfi di pregiudizio, dubito agevoli un eventuale reinserimento. (che, sì, nel pubblico non si perde lo stipendio ma vuoi mettere riuscire a trovare una soluzione alternativa a questa particolare forma di parcheggio?)
    Non sono in grado - non me la sento - di ipotizzare quale sia il giusto posto per tutti gli "scoppiati di lavoro" e temo che i numeri non giocherebbero a mio favore.

    P.S: vi prego di scusarmi per la prolissità; se lo Scorfano o il Disagiato lo ritenessero opportuno non si facciano problemi a cancellare questo commento/mattone.

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  24. Eva

    Ti sto dicendo che la riconversione non serve un accidente ed e' dannosa e ingiusta, ed e' la cosa che avevo scritto fin dall'inizio.

    Quella dei professori e' una delle professioni a piu' alto tasso di burn out ma NON e' una professione usurante.

    Al limite ti posso seguire sull'allontamentento/sospensione/malattia temporaneo: ma se quel lavoro ti provoca il burn out per sua natura, sei fuori posto.

    Diverso il caso del mobbing o di situazioni particolarmente disagiate -non e' colpa tua se i tuoi studenti ti minacciano con un coltello. Ma non e' di questo che stiamo parlando.

    Uqbal

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  25. @Melabakata
    Grazie della tua prospettiva diversa, piuttosto. Da ex studente, il che la rende molto interessante.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)