Io e la mia collega Marzia ci stiamo chiedendo cosa faremo più avanti, quando le cose cambieranno. Abbiamo allarmato amici, parenti e conoscenti, ma il negozio, per fortuna, ancora non ha cessato di esistere. Io e lei siamo ancora qui a vendere libri e a fare quello che si fa in una libreria italiana. “Sì, ma dopo?”, ho chiesto alla mia collega, “Dopo, quando la libreria non ci sarà più, cosa farai?”. Marzia allora guarda la libreria deserta e mi risponde che per lei è uguale, che un lavoro vale l’altro.”Ho il mutuo, io”, mi dice. “Sì, hai il mutuo, ma ci sarà qualcosa che ti piacerebbe fare”, ribatto. “Vorrei lasciare la libreria prima che chiuda definitivamente”. E poi Marzia continua dicendomi che vorrebbe lavorare vicino a casa sua, che molto di quello che guadagna se ne va in benzina e che una vita così no, non va affatto bene. Io le faccio notare che però qui ha un buon contratto, che d’estate ce ne stiamo al fresco e d’inverno al caldo e poi, in ultimo, che il nostro lavoro non è poi così male. “Boh”, mi risponde lei, “io vorrei tanto andarmene e fare qualsiasi altra cosa pur di stare vicino a casa mia”. La guardo sapendo già quello che sta per dirmi. E infatti Marzia sorride e mi dice che presto, non sa ancora quando, vorrebbe tanto avere un figlio e stare con lui o vicino a lui. “Marzia, sei giovanissima e mi sembra un po’ presto per avere un figlio”, dico io, sapendo che sto facendo il maleducato. “No, non è presto”, dice lei imbronciata. “Per me sì, è presto”, insisto scontroso.
Io e Marzia poi ce ne stiamo in silenzio, ci distacchiamo e andiamo in direzioni diverse, lei a sistemare un libro fuori posto, io a sistemare un libro fuori posto. “E tu?”, urla lei, dopo un paio di minuti. “Tu invece cosa farai, dopo?”. E io, che aspettavo in grazia la domanda, le dico che non appena il negozio chiude, me ne vado. “Te ne vai? E dove?”, chiede. “Mi piacerebbe andarmene in Spagna, in Andalusia”, rispondo riavvicinandomi a lei. “Ma lo sai che stai dicendo fesserie? In Spagna la gente si ammazza perché non c’è lavoro, e tu te ne vai in Spagna?”. “Sì”, rispondo seccato. Marzia sorride ancora e poi sussurra un “tu non stai tanto bene, caro mio”. Mi arrabbio, ma non dico niente. Poi, ancora, ci allontaniamo, sistemiamo libri e prolunghiamo il nostro silenzio. Ogni tanto alzo la testa e guardo Marzia, che chissà se sta pensando al bambino o alla benzina o a un lavoro qualsiasi vicino a casa. Io invece penso ai miei progetti sgangherati, da persona miope: fare lo zaino, prendere un aereo e andarmene in una città toccata dal mare. Che bello che sarebbe, mi sono detto lì in negozio. Che bello che sarebbe cominciare ad essere un'altra persona in un altro posto.
Dopo una ventina di minuti io e Marzia ci riavviciniamo e ci scambiamo un bel sorriso, come per confermare che quello che ci siamo detti ce lo diremo ancora, ma che tra di noi nulla, mai, cambierà. E allora, più o meno in quel momento, mi ritorna in mente una poesia di Bukowski che s’intitola "La grande fuga". Comincia così: senti, mi disse, hai mai visto dei granchi in un / secchio? no, gli dissi. / bé, quello che succede è che ogni tanto un granchio / si arrampica sugli altri / e inizia a salire verso la cima del secchio, / poi, proprio mentre sta per scappare / un altro granchio lo afferra e lo tira di nuovo / giù. davvero? chiesi. / davvero, disse, e questo lavoro è così, / nessuno degli altri vuole che qualcuno se ne vada da / qui, funziona così alle poste! / ti credo, dissi.
Ecco, ho pensato a questa poesia, anche se non lavoriamo alle poste. Però, a volte, soprattutto quando parliamo di bambini, di nuove occupazioni, di partenze, di mare - con i colleghi ma anche con gli amici che nel bene e nel male con gli anni stanno diventando fratelli - mi sembra di essere un granchio tra i granchi in un secchio. A volte tiro giù. A volte, per fortuna, vengo tirato giù.