lunedì 11 aprile 2011

le solitudini

di lo Scorfano

A volte, succede, ci sono persone con cui si creano delle distanze. Senza che ci sia un vero motivo, a volte: si passa da una quasi amicizia a una quasi avversione, lentamente, mese dopo mese; ci si incontra e non ci si parla più come prima, passano le stagioni e ci si saluta di corsa, un «ciao» rapido che ha solo voglia di dissolversi al più presto. E non c’è un motivo serio: se non che si sono prese delle distanze, quasi incomprensibili. Finchè un giorno, dopo anni, ci sorprendiamo a cambiare strada, quando incontriamo quella persona, per evitare anche quel rapido «ciao»: e quel giorno scopriamo che la distanza si è consumata, definitivamente.

Ma la vita non fa sconti, a nessuno. E quindi, magari dopo anni, càpita qualcosa, qualsiasi cosa: un matrimonio, un lutto, una sofferenza, un evento imponderabile, magari terribile, che potrebbe cambiare tutto. Che fa venire voglia di dire forte: «Ma che cazzo me ne frega delle distanze… Non c’è nessun motivo per cui mi debba sentire così lontano da te. Ti ho fatto qualcosa? No. Tu hai fatto qualcosa a me? No. E allora, su, basta, lasciati abbracciare, che non c’è motivo per tutto questo essere distanti…»

Ma non è vero, naturalmente. Le distanze ci sono, e punto. Non c’è nemmeno da chiedere scusa, perché non ci sono ragioni di cui scusarsi, che non siano le distanze stesse. E quello che si vorrebbe dire, alla fine, non lo si dice. E si resta impietriti, a sapere che non si torna indietro, che non c’è spazio per un ritorno. E io le ho chiamate distanze, ma forse è solo perché ho paura, perché invece hanno un altro nome queste «distanze»: si chiamano solitudini. Le nostre solitudini. A cui non sappiamo di esserci crudelmente abituati.

7 commenti:

  1. Ti ringrazio molto. Ho esitato a pubblicarlo.

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  2. Ciao Prof. Sì, a volte è proprio come dici tu. Anche perché, per abbattere quelle distanze, basterebbe la semplicità di arrendersi a considerazioni come quelle che hai fatto tu. Però, né la semplicità né l'arresa sono facili... A volte allora bisogna superarle d'impeto. O sperare che quelle circostanze fortuite per un abbraccio si profilino nitide all'orizzonte (e non non giriamo la faccia).

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  3. Ciao, Monica. Girare la faccia è il segno della solitudine. Che poi ho declinato al plurale, apposta, perché mi pare quasi un paradosso.

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  4. E' una considerazione amara, certo, ma io credo che, sostanzialmente, noi siamo tutti eroicamente votati alla solitudine e soprattutto alla più dolorosa, quella interiore.
    E' perché -a me pare- noi, disperatamente, desideriamo.
    Desideriamo di riscontrare affinità, e quanto più ne riscontriamo l' assenza, tanto più ci allontiamo nel tentativo di conservarne viva, almeno in noi, l' idea di purezza.
    Od almeno, è questo che io, personalmente, vorrei scambiare con un amico. Che importanza può avere perdere contatti che non avevano che una flebile, superficiale, voce?
    D' altro canto l' hai dichiarato: "Le distanze ci sono. E punto".
    Anch' io, in troppi casi, ho dovuto constatarlo. Ma non vedo colpa né attitudine ad una forma di solipsismo: solo, semmai, l' onestà di sancire l' esistenza di un vuoto che comunque c' era, oggettivamente ed a prescindere dalla volontà, tra diverse, e talvolta inconciliabili,indoli.
    Davvero importante, a me pare, lasciare comunque aperti gli usci dell' anima, domani...

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  5. Non so. Certi contatti, è vero, sono solo flebile voce. A volte, però, si fa sentire un urlo più forte, e più cattivo, che è quello della realtà: e quelle volte si vorrebbe che un contatto ci fosse, anche superficiale, anche flebile. Ma è proprio in quel momento che, punto, le distanze ci sono e dolgono.

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  6. Le distanze che ti sei presa, eppoi ci rimani male se le amiche organizzano gite fuori porta e non ti invitano: brava, ben fatto. Tanto non ho niente da dire, niente da condividere, nessu "hei lo sai che".

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)