mercoledì 4 aprile 2012

Un quadro

del Disagiato

Il sedici maggio del 1998 Diego, un amico, mi regalò un quadro raffigurante una faccia a dir poco inquietante, come un volto appena emerso dalla sabbia, rigido e torvo. Il sedici maggio non è il giorno in cui compio gli anni, quindi non so quale fosse il motivo che spinse l’amico a farsi un bel po’ di chilometri per raggiungere casa mia e darmi quel dipinto. Quel quadro era stato fatto da lui, a scuola (allora Diego frequentava un liceo artistico), e quel quadro lo vidi appeso in camera sua qualche settimana prima. “Un po’ inquietante, ma davvero bello”, dissi più o meno davanti al suo lavoro, e allora, forse solo per amicizia, Diego mi fece quel dono. Ricordo solo che mi commossi tanto e ricordo anche che insistetti perché lui scrivesse sul retro della tela la data e una dedica. E lui allora prese un pennarello e sul legno che stava sul retro scrisse: 16.05.1998 Al mio migliore amico questo quadro, per dimostrargli la mia amicizia. Una dedica istintiva e breve, ma sincera. E allora sì, facciamo che questo quadro deve avermelo donato al di fuori di qualsiasi ricorrenza: solo ed esclusivamente per amicizia.

Il quadro lo appesi in camera mia, accanto al letto, sopra il comodino e sia mia madre che mio padre (e pure gli amici che poi entrarono in quella stanza), vedendolo dissero: “Inquietante ma davvero bello”. Perché il quadro obiettivamente era inquietante ma molto bello. Insomma, mi vantai di avere quel bellissimo quadro e mi vantai soprattutto di avere un amico che lo aveva dipinto e che me lo aveva regalato: al mio migliore amico questo quadro, per dimostrargli la mia amicizia.

Amicizia che, in effetti, ha avuto bisogno, lungo questi anni, di parecchie dimostrazioni ma che comunque non si è arresa davanti a nulla e, anzi, si è fatta più forte e schietta. E qualche giorno fa, come due veri amici, siamo andati in quel localino che piace a noi e, complice la seconda birra media, ci siamo infilati con gli occhi crepati di rosso nel passato e nella nostalgia. A un certo punto del rastrellamento dei ricordi, Diego mi ha detto: “E ti ricordi del quadro che ti ho regalato?”. “Certo che mi ricordo”, ho risposto sentendo arrivare dalla pancia un piccolo brivido. “E adesso dove sta quel quadro?”, mi ha chiesto lui. “Il quadro, dici?”. Già, dove sta il quadro? Dove diavolo sta quel quadro regalato per amicizia e con sentita dedica sul retro?

E Diego, in quel momento, ha capito. Ha capito che io non lo sapevo. Ho pensato ai due traslochi fatti con i miei genitori a partire dal quel 1998 e all’ultimo trasloco fatto qualche anno fa per andare a vivere da solo. Ho ripensato agli scatoloni, alle cose rifugiatesi in cantina (un po’ nella mia cantina e un po’ nella cantina dei miei genitori) e agli oggetti smarriti nella confusione e alle cose buttate nel delirio dell’abbandono, dei giri di boa dell’età adulta, dei cambiamenti forzati e voluti.

“Diego, scusami, ma non so dov’è il tuo quadro”, ho detto con una tristezza immensa. “Devo averlo lasciato in cantina”. Diego allora ha fatto la faccia dispiaciuta (cos’altro poteva fare?) e, da amico, ha provato a mettere qualche cerotto alla serata ferita. Ma niente, la serata ha preso una piega un po’ così, un po’ malinconica, con qualche battuta e qualche ironia sul quadro, la nostra amicizia e il tempo che passa in modo strano, mai lineare e coerente. Che se fosse coerente, il quadro starebbe ancora lì, accanto a un letto, sopra a un comodino. Come sempre.

Quando siamo usciti dal locale, ci siamo accorti che la notte profumava. “Che bello, arriva la primavera”, ho detto io. “Già, che bello”, ha detto lui. Poi ci siamo salutati dandoci la stessa stretta di mano di sempre. Forse un po’ più stanca, forse un po’ più indecisa, ma quella di sempre. Ci siamo dati anche una data per ritrovarci e poi ci siamo divisi, ognuno di noi diretto verso la propria macchina.

Sono arrivato a casa, sono entrato in camera mia e lì, accanto al letto, sopra il comodino, ho visto il quadro di Diego. L’ho guardato per cinque o sei secondi che non sembravano secondi ma mesi, anni, secoli. Poi mi sono sciolto dalla rigidità, ho preso di scatto il telefono che stava in tasca, dalla rubrica ho pescato il nome "Diego" e poi, come con uno sfaglio umano e interiore, ho cancellato tutto e mi sono rimesso il telefono in tasca.

"Come posso telefonare a Diego per dirgli che il quadro è lì, sopra il comodino, da cinque anni?", ho pensato. Come posso dirgli alle due di notte di questo marzo profumato di glicine che sono talmente abituato ad avere il suo quadro da non accorgermi della sua presenza? Talmente abituato a vedere una cosa da non vederla più?

Come posso dirti, amico mio, che la vita e il tempo sono invece tragicamente lineari e coerenti e siamo noi, invece, a non esserlo? Meglio far finta che sia colpa del tempo e della vita che passa e non colpa nostra. Sì, meglio far così. Per questo non ti chiamo e per questo non ti chiamerò per dirti che il quadro è ancora con me, lì, accanto al letto, sopra al comodino. Come sempre, con coerenza.

10 commenti:

  1. Meglio che capiti ad un quadro con un amico che con la persona che hai sposato. Perché può capitare che ci si parli e ci si frequanti tutti i giorni, ma, come il tuo quadro diventato invisibile, non si riesca a vedere con la necessaria chiarezza ciò che non va, la bellezza e l'inquietudine del rapporto... o del quadro.

    Richiama il tuo amico. Ringrazialo per averti ricordato dell'esistenza del quadro, che è stato come se te lo avesse regalato una seconda volta. E scommetto che la seconda volta è stata molto più importante della prima. Digli anche questo, se non mi sbaglio. Capirà.
    nicola.

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  2. Chiamalo ti prego, anzi no, invitalo a casa e mostragli il quadro.

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  3. Disagiato, non è la prima volta che tieni una confessione per te e, invece di rivelarla alla persona che ne trarrebbe veramente giovamento, oltre che te stesso, la scrivi qui; forse per esorcizzare la fatica che ti costerebbe aprirti con gli altri? Per orgoglio, per non dover smentire una prima versione? Per coerenza?

    Ci vedo un che di masochistico. Magari, nonostante le serate davanti a una birra con i tuoi amici, in realtà aspiri a restare in disparte.

    Non sono fatti miei, certo, ma, come si dice, hai cominciato tu a parlarne ;^)

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    1. Non sono timido e non ho blocchi emotivi, mi dicono. Quando non scrivo un post di questo genere, sono fuori casa a rivelare al mondo le mie confessioni. Quando invece non riseco a parlare, allora scrivo.

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  4. insomma, il quadro non è più inquietante?

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    1. Rimane inquietante, come sempre.

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    2. ma se ti inquietasse ancora non ti saresti dimenticato di averlo sopra il comodino.

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  5. Questo post mi ha fatto venire la pelle d'oca dall'emozione...
    Marco

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  6. Caro Disagiato,

    nella parte di quadro che tu hai mostrato qui nel blog, nella figura umana un pochino sfuocata ed un pochino tagliata fuori per un pezzo io ci vedo un essere immateriale che si manifesta, una specie di fantasma, una figura che potrebbe rappresentare l'anima umana nel momento del riconoscere e del ricordare cose dimenticate o prima smarrite.

    Un poco come davanti ad uno specchio, uno specchio che ci mostrasse le nostre vite di una volta.

    Ecco allora una motivazione alla nostra inquietudine, alla nostra ammirazione per l'armonia delle cose.

    Marco

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)