domenica 1 aprile 2012

quel che è successo

di lo Scorfano


L'immaginario adolescenziale è spesso confuso e imprevedibile. Più piccoli sono i ragazzi, più il loro immaginario è appena accennato, impreciso, con contorni sfumati in continuo e quotidiano movimento, come se una parola appena un po' più violenta delle altre potesse bastare a modificarne i centri di gravità e le pulsioni fondamentali. Ecco, mi dico, perché anche la loro lettura della realtà è spesso così torbida, precaria e volubile: perché, come chiunque, anche loro leggono e interpretano la realtà che li circonda a partire dall'immaginario che si sono costruiti e che detta i tempi e i modi della loro lettura. E a un immaginario instabile fa riscontro una lettura della realtà altrettanto instabile.

Ed ecco anche perché, mi dico, questi adolescenti giovani (intendo i ragazzi di prima, per capirci) sono anche così fragili e delicati:
fiori appena sbocciati e, se mi passate la trita metafora (che ve lo assicuro, non è affatto né retorica né esagerata: purtroppo è così, la verità), troppo facili da strappare via o da far rapidamente appassire: sono così fragili e così delicati perché basta un nonnulla a deviarli, a piegarli nella direzione che si vuole, a plasmarli nel bene ma anche nel male, a farne ciò che forse loro non vorrebbero mai essere.

E però, nonostante tutto questo (che resta vero, ma non è tutto), anche il loro immaginario ha impreviste e adamantine e irresistibili solidità. Contro cui ci si può solo scontrare e che non vengono scalfite da alcuna possibile parola. E uno di questi intoccabili spigoli è il «successo», non c'è niente da fare. Il «successo» (inteso soltanto come fama, celebrità) è per loro la certezza, l'inossidabile sicurezza, la verità, la forza, il significato, la meta, il punto di arrivo, uno su mille ce la fa ma ne vale sempre la pena, inseguire il proprio sogno che è sempre e soltanto un sogno di fama e di successo.

Non sono i soldi, quasi mai. Non è nemmeno l'amore, non per tutti. È il successo, invece: la fama che spezza (io credo) le catene della loro appena percepita mortalità. È colpa loro? No, naturalmente: è colpa nostra. Benché forse non sia nemmeno una colpa; e se invece lo è, siamo comunque noi che, chissà come e chissà quando, glielo abbiamo insegnato. E adesso, quando hanno quattordici anni, provare a insegnargli il contrario (o qualcos'altro) sembra impossibile, davvero. Fragili in tutto, sono però inespugnabili in questa loro certezza: che avere successo risolve qualunque problema, che il successo è la chiave di tutto, che se diventeranno in qualche modo famosi di altro non dovranno mai più preoccuparsi perché saranno felici. Questo è per loro il «successo»; e non, come provo invano a spiegargli io, il participio passato del verbo succedere.

13 commenti:

  1. Il segreto forse consiste nell'usare "succeduto", rende ancora più volatile il concetto di fama nel senso che prima o poi qualcun altro prende il tuo posto.

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    1. non può essere il desiderio di lasciare qualcosa che sopravviva loro? perchè se così fosse, penso sia un'aspirazione condivisa non solo da ragazzi di 14 anni...

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    2. Può essere che sia come dici tu, Stefania. Ma io ho più l'impressione che sia un desiderio indotto, una specie di luogo comune dei "progetti esistenziali" a cui non possono sottrarsi...

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  2. Caro prof,

    non mi meraviglia molto l'idolo d'oro del successo come tu lo vedi verificato ogni giorno nei giovani delle classi di primo anno.

    Non è la TV una delle grandi maestre dei ragazzi a partire dalla loro infanzia? Tanti sono i loro eroi e protagonisti, in tante salse farciti e presentati loro come il simbolo universale del "ragazzo perfetto", della "ragazza ideale", come il riscatto dal secchione occhialuto che risorge farfalla danzerina dagli occhioni dolci.

    Ti tornano in mente i tanti programmi dove adolescenti si mettono alla prova in due squadre contrapposte, dai colori diversi, avendo come risultato finale agognato quello di rimanere "uno su mille ce la fa"?

    Ecco, sono programmi come questi, che hanno istruito giorno dopo giorno i giovani di tanti paesi del mondo, gli avversari dei genitori e dei professori di oggi, quando tentano di aprire una strada nuova e diversa come sviluppo futuro della vita dei giovani.

    E non è poi vero che anche un calciatore, quando diventa "famoso" e di successo, può a ben diritto pretendere una borsa di ingaggio stratosferica?

    Ecco, queste sono esempi delle situazioni maestre di vita. Potremo mai modificarle?

    Marco

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    1. Lo so, Marco, lo so e hai ragione tu: le cose stanno come racconti tu. Accorgersene di botto, nella carne propria e dei propri studenti, è sempre, anche se lo so, una botta.

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  3. ...ma resta un desiderio di successo irreale, purtroppo; tre ragazze di una terza media scrivono nei temi che vogliono diventare ballerine e cantanti. Bene; la scuola organizza un musical, ma nessuna delle tre si iscrive. Poteva essere un tentativo, un inizio, un mettersi alla prova... ma era troppo reale, come troppo reale era la fatica per farlo.

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    1. Esatto: non è desiderio di avere successo facendo qualcosa, in realtà. E' desiderio di essere famosi, tutto qua: è una specie di ricetta della felicità, ed è questo che trovo un po' spaventoso (per loro).

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  4. Ma è davvero così per tutti, proprio tutti? oppure qualcuno di loro (pochissimi probabilmente) lo dice perché lo dicono tutti ma dentro non ci crede fino in fondo? Perché se "aver successo" significa per loro "diventare famosi", allora significa anche "essere al centro dell'attenzione", e non è che tutti abbiano voglia di essere al centro dell'attenzione a 14 anni (per esempio io proprio no, anzi).

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    1. IO insisto sull'equazione "fama=felicità", che è quella che mi pare di vedere. Non altro, non esibizionismo, non successo di uno sforzo. E' questo che mi lascia perplesso.

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  5. Forse, un'aggravante, sta proprio nel desiderio di voler raggiungere il successo senza fare sacrifici: studiare, allenarsi, sperimentare, sbagliare e ricominciare; tutto ciò richiede costanza, dedizione, impegno, pazienza. L'episodo raccontato da Claudia Paternoster mi ha richiamato alla mente i messaggi più o meno impliciti che spesso i mass media veicolano. Come insegnano i talent-show e alcuni cartoni animati - i "simpatici" e imbranati protagonisti di Kung-fu Panda o Ratatuille, tanto per citare alcuni tra i più famosi - non è fondamentale aver intrapreso un lungo e faticoso persorso di formazione professionale, artistica o intellettuale, ciò che importa sopra tutto sembra essere il desiderio in sè: l'assoluta volontà di arrivare al successo.
    Il consenso del pubblico, i voti degli spettatori a casa, possono essere accattivati con la simpatia, con la faccia pulita del bravo ragazzo talvolta anche un po' imbranto, piuttosto che mediante una performance eccellente, frutto di una intensa preparazione.

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    1. L'immaginario, hai ragione tu, viene formato dai messaggi mediatici e sociali, è sempre stato così. Oggi, vista la pervasività dei media, lo è ancora di più.

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  6. Eh, io ho avuto un'alunna che in prima media, nei giorni dell'accoglienza, all'invito di raccontare per scritto qualcosa della sua vita e delle sue aspirazioni, ha scritto "Da grande vorrei essere come Paris Hilton"... E ho capito, ha ragione lo scorfano: è la fama, la celebrità in quanto tale che attira. Non ha scritto "una ballerina, una velina, una cantante, una giocatrice della Foppa Pedretti, una dottoressa, una fotomodella...", cioè una che fa qualcosa, o che ha un talento, delle competenze, delle capacità, no lei voleva essere una famosa solo per essere famosa, cioè una ricca che va a tutte le feste. Terribile, vero?

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  7. Come se il successo fosse un'emancipazione dalla fatica, dal lavoro come labor. Dal travaglio di doversi guadagnare la stima e la considerazione degli altri, in uno struggle for life che divenata sempre più crudele, perchè se non sei bello, ricco e spiritoso puoi anche morire. Batsa un po' di timidezza per condannarti all'ombra più dimenticata e calpestata. Il successo ti assicura la staticità dei re, che non devono far nulla per essere onorati. Chi ha fama ha dei followers, lui va avanti e loro lo seguono, lo proteggono sempre, dall'anonimato e dalla fatica dell'altro.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)