lunedì 5 marzo 2012

i libri di ignazio

di lo Scorfano


Questo libro che ora tengo in mano è un libro vecchio, che ha più di quarant'anni; ed è un libro che ha attraversato il mare, pochi giorni fa, insieme ad altri libri in qualche modo suoi fratelli, dentro uno scatolone, per arrivare fino a qui, a questa stanza, su questa scrivania (che sono la mia stanza e la mia scrivania), a questa mano con cui lo tengo e lo sfoglio, che è la mia mano.

Questo libro che ora tengo in mano è un libro sull'antipedagogia. Racconta storie, nei suoi paragrafi, della scuola di molti decenni fa, quando ancora tutto era da rinnovare, quando la fiducia nel poterlo fare era tanta e diffusa, di una scuola che oggi non c'è più. Ce ne sono molti altri, nello scatolone che qualche giorno fa ha attraversato il mare, di libri come questo, che parlano di scuola, di didattica, di ragazzi e di professori, di come si potrebbe fare, di come non si dovrebbe fare, di come forse ci si è stancati di fare, di come nonostante tutto ancora proviamo a fare.
Questo libro, che ora tengo in mano e che è simile ai suoi fratelli che hanno viaggiato con lui nello stesso scatolone, è un libro che appartenne a Ignazio, che è stato un professore di italiano, come ora, molti anni dopo, lo sono io.
Ignazio era nato a Caltabellotta negli anni '30, un paesino arroccato sulla costa sud dell'isola di Sicilia, dove si firmò la pace dei Vespri, all'inizio del 1300. Dei suoi otto anni in seminario ad Agrigento mi ha sempre raccontato strane vicende, che colpivano la mia immaginazione di bambina prima e ragazza poi: l'ora di vocabolario, per esempio, una lezione trascorsa in silenzio dove l'insegnante snocciolava grappoli di parole alla classe e l'esercizio, muti, consisteva nel cercare di aprire il dizionario chiuso, sul proprio banco, alla pagina più vicina possibile a quella della parola data. "Bisogna essere precisi e salvare il tempo" ripetevano i sacerdoti insegnanti. E poi il dover infilarsi sotto le lenzuola vestiti con la tunica, perché non si scorgesse il proprio corpo nudo e non ci si fermasse a guardarlo. 
Uscì dal seminario e rinunciando ai voti andò da Agrigento a Palermo, dove finì l'università laureandosi in lettere e filosofia. Laurea su Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro. Si era pagato gli studi dando lezioni private, come tutti noi, in fondo. La sera sbirciava nella cucina dell'abitazione dove aveva affittato una stanza, e imparava il trucco del ridurre il fumetto per il sugo con la pasta con le sarde dal padrone di casa, cuoco sopraffino. 
Partì per la Sardegna, scegliendo una cattedra d'insegnamento in un'altra isola lontana per molti versi e per questo agognata. A quei tempi, fine anni '50, i neolaureati erano pochi e c'era fame di docenti. Si poteva scegliere dove andare, da qualsiasi parte di'Italia in qualsiasi buco remoto del paese. La scelta ricadde su Ierzu, paesino dell'Ogliastra. Dopo ore di traghetto e un viaggio infinito da Cagliari in corriera per strade tortuose e forse belle, ma invisibili perché si era di notte, Ignazio arrivò a Ierzu, carico di aspettative e di adrenalina che non l'aveva lasciato dormire. 
Dopo aver scaricato le valigie e drizzandosi sulla schiena per respirare e guardarsi intorno vide un ragazzo, scuro, capelli ricci corvini, gambe e braccia tornite, aria spavalda e occhi guizzanti. Accanto a lui, una lambretta, col cavalletto divaricato a terra. «Sei Ignazio? Io sono Mauro. Insegno ginnastica in quella che sarà anche la tua scuola. Ben arrivato. Sali.» Iniziò un'amicizia rinsaldata da fil'e ferru, riunioni, registri e orari di lezione. E scorrazzate in lambretta per le regioni della Sardegna. 
Anche Franca insegnava in quella scuola. Italiano e filosofia. Non si lasciarono più, lei e Ignazio, trasferendosi a Oristano, dall'altra parte della Sardegna. Insieme sino a quando nel 1978 Franca morì. 
A Ignazio restavano due figli, ricordi intensissimi affastellati sul cuore e nella testa e poi libri. Tanti libri. Comprati per aggiornarsi sui decreti delegati, sulle 180 ore, sul come fare ricerca, sulla didattica tra le zone ex-malariche dell'arborense bonificate dalla Fondazione Rockefeller, sulla formazione e sperimentazione. Oltre ad antologie, testi in latino e greco, saggi, qualche serie enciclopedica e non - il materiale e l'immaginario, tra le più recenti raccolte. Libri comprati per riempire i vuoti. Libri che restavano incellofanati, o che venivano aperti per scorrere l'indice, come esercizio di organizzazione mentale. Ignazio era mio padre.
Così mi ha scritto L., prima di chiedermi se potevo accogliere alcuni dei libri di Ignazio (che è morto qualche anno fa) nella mia casa lontana dalla Sardegna, dalla Sicilia e dal mare.

E così ora vi racconto io, come lei lo ha raccontato a me, emozionandomi. E così io, adesso, ripenso ad Ignazio, che non ho mai conosciuto (non ho mai conosciuto nemmeno sua figlia L., a dire il vero), sfogliando le pagine di uno dei suoi libri, i cui segni di lettura arrivano fino a pagina 37: poi si sarà stancato, poi avrà pensato, come quasi sempre mi sorprendo a pensare anch'io, che non ne valeva la pena, nemmeno di andare avanti, nemmeno di provarci.

Ma poco più oltre, però, tra una pagina e l'altra, c'è una cartolina, datata 1992. Una cartolina di vent'anni fa in un libro di più di quarant'anni fa. Una cartolina che (ci scommetto da come è intestata, da come è firmata, dal tono con cui è scritta: vi riconosco maledetti, vi riconosco...) viene da una ex alunna di Ignazio, che lo chiama «Gentile professore», che si firma «Giuliana» e gli manda i saluti (suoi e della sua famiglia) da una spiaggia bellissima, al tramonto.

E allora io, adesso, mentre tengo in mano uno dei suoi libri sull'antipedagogia, penso a Ignazio, che un giorno, quando era già in pensione, ha ricevuto questa cartolina da un'ex alunna, come io pochi giorni fa ho ricevuto in uno scatolone i suoi libri, da lontano, da un'isola. E penso al suo sorriso e me lo immagino come il mio, non so perché. Penso al disincanto di quel sorriso e però anche all'illusione, a queste pagine sull'insegnare, a tutti questi libri sulla necessità di insegnare meglio, di insegnare davvero, di non stancarsi di provarci senza riuscirci davvero mai. E poi la cartolina e Ignazio che non c'è più e la sua ex alunna Giuliana che chissà che fine ha fatto, dov'è, cosa si ricorda di Ignazio e della scuola e di quella sua vacanza del 1992, e ci sono i libri che attraversano il mare e io qui che ne sfoglio uno e d'improvviso mi emoziono per una persona che non ho conosciuto mai e che non ha mai saputo che io esistevo.

E però, Ignazio, forse ci assomigliamo, ecco perché mi emoziono. Oppure, non lo so, oppure non è vero e semplicemente io non capisco, nemmeno questa volta. Come molte altre volte, come chissà quante volte anche tu. E guardo i tuoi libri, Ignazio, in questi scatoloni, i tuoi libri che hanno attraversato il mare e non mi resta altro che sfogliarli tutti, alla ricerca di qualcosa, un'altra cartolina, qualsiasi cosa; forse di quel messaggio segreto, che so fin troppo bene (come sapevi benissimo anche tu, fermo alla pagina 37) che non potremo mai trovare.

10 commenti:

  1. ...Grazie di questa poesia...che magia le ore che trascorrerai svuotando lo scatolone!

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  2. Sarà che Ignazio era siciliano ed "emigrante" come me, ma mi hai fatto commuovere, bastardo!
    (lacrimuccia...)
    (e ora come faccio a fare 2 ore di lezione sulla programmazione in C?)

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    1. ( spero non ti offenda per il "bastardo", ti assicuro che volevo manifestarti il mio affetto! )

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    2. Avevo capito benissimo, tranquillo... ;)

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  3. Eh: post che profuma di storia...
    Spero tu sappia che hai accresciuto la curiosità dei tuoi lettori (la mia, di sicuro): chi sono Ignazio e sua figlia; per quali casi del destino i loro libri sono stati affidati al tuo sapiente vaglio...

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    1. Eh, questi sono purtroppo dettagli troppo privati, per essere rivelati. Mi dispiace...

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  4. Non ti sei emozionato solo tu davanti a quei scatoloni, c'eravamo anche noi, curiosi ma soprattutto emozionati.
    Grazie per questo stupendo post

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  5. Bene, non sono l'unica ad essersi commossa.
    Silvia

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  6. Grazie Prof come al solito per la condivisione di cose belle, per la tua sensibilità che comunica agli animi sensibili che vibrano sulle sue corde.

    Cosa mi fa emozionare nella storia del professore Ignazio e della sua vita, del suo insegnare ed inseguire il sogno di un mondo migliore per tutti gli uomini e le donne?

    Che cosa mi fa venire il groppo in gola o il lacrimone che mi fa vedere come se in immersione?

    Io penso che sia la partecipazione, il sentire entro ognuno di noi che il mondo migliore che desiderava Ignazio è anche un pò il nostro, il sapere che il mondo migliore sperato e cercato è possibile, anche se difficile, ma ancora davanti a noi, come era anche davanti ad Ignazio.

    Ecco, anche io un pochino mi ci sono riconosciuto nella buona speranza del professore Ignazio, come anche nella buona speranza del professore Scorfano, come anche nella buona speranza di tutti gli esseri umani di buona volontà.

    Cosa mi suggerisce la storia di Ignazio? Forse che i sogni sono fatti per essere realizzati. Con volontà e determinazione. E che malgrado tutto un bel giorno si realizzeranno.

    Marco

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  7. Epperò una bella sfida a "vocabolario" potremmo organizzarla. Sono stato campione regionale juniores, di vocabolario.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)