Poco fa ho visto un film che parla delle Alpi e di chi le Alpi le frequenta o le abita. S’intitola Peak - Un mondo al limite e il limite (se ho capito bene, naturalmente) sta per quella linea rossa che l’essere umano rischia di oltrepassare o che probabilmente ha già oltrepassato: sfruttamento del suolo per costruire piste da sci oppure complessi e costosissimi impianti per distribuire neve artificiale là dove prima del cambiamento climatico c’era neve vera, autentica. Oltre alla narrazione per mezzo delle immagini (bellissime immagini), in questo film succede una cosa che potrebbe benissimo essere una metafora: nessuno è mai contento. Chi lavora sulle piste sciistiche si lamenta che gli inverni non sono più rigidi come una volta e che i ghiacciai si stanno ritirando: dove andremo a finire di questo passo? Chi deve fare il latte o il burro spera invece che l’inverno che deve arrivare non sia rigido e nevoso come l’anno precedente, altrimenti addio burro e formaggio. C’è anche un signore che gestisce un impianto sciistico che cerca di placare gli animi: i dati che riguardano il repentino cambiamento climatico sono esageratamente allarmati. Lo so che bisognerebbe parlare di un film quando la temperatura emotiva (alta o bassa che sia, non molto alta in questo caso) è scesa o si è assestata, ma non ho voluto aspettare a dire quello che mi è rimasto oltre i titoli di coda: nessuno è contento e forse, come dicevo prima, la montagna e gli esseri umani che la vivono raccontano e descrivono la pianura e gli esseri umani che la vivono.
Una signora anziana seduta nella sua cucina chiude il film con un discorso che non ho capito bene cosa c’entri con la montagna, il formaggio, le piste sciistiche e il cambiamento climatico. Dice così: “…hanno fatto tante invenzioni, tante sono arrivate a tanto, e tante hanno distrutto. E le cose più belle le hanno distrutte, perché l’amore non c’è più, e neanche il dolore c’è più. Si salvi chi può”. Cosa c’entrano l’amore e il dolore con tutto questo?