Nel film Cesare deve morire arriva il momento in cui, durante le prove teatrali nella prigione, l’attore detenuto che deve fare la parte di Bruto recita questa battuta: “Questo non è un assassinio, è un sacrificio. Ah, se si potesse strappare lo spirito al tiranno senza squarciare il petto suo”. Poi ripete le ultime parole a bassa voce (ah, se si potesse…), si blocca, dà una manata al muro e si siede, scosso, il viso tra le mani. “Che succede, non ti vengono le battute?” gli chiede il regista, e allora l’attore Bruto, irritato e guardandolo negli occhi, gli risponde: “Ma che vuoi! È una cosa mia! È una cosa mia!”. È una cosa sua, quello che sta accadendo. L'attore, dopo essersi calmato e scusato, spiega che la frase “ah se si potesse strappare lo spirito al tiranno senza squarciare il petto suo” gli ha fatto venire in mente un amico, con il quale vendeva sigarette di contrabbando, e che un giorno, prima di “tappare la bocca di un infame” gli disse le stesse parole di Bruto: “Le parole erano diverse, ma uguali”, dice stupito. Diverse ma uguali. Insomma, scrivo di questo momento del film perché è proprio in questo momento, secondo me, che gli attori carcerati capiscono che la letteratura, anzi no, l’arte (non cascateci, l’ho fatto con proposito a dire prima “letteratura” e poi “arte”) è entrata in circolo o, direi in modo ben più prosaico, è proprio lì che l’arte incomincia a funzionare. A funzionare su di loro. L’arte agisce solo quando noi riusciamo a farla agire: per mezzo di un incontro tra le parti. Le parole diverse diventano uguali, e riescono a far emergere facce, ricordi, eventi che ci hanno toccato. Proprio com'è accaduto all'attore, che di colpo, grazie a poche parole che pensava innocue, incomincia a ricordare, a collegare e, chissà, magari a dare significati.
Questa battuta di William Shakespeare scritta più o meno nel 1600 è significativa ed evocativa non solo grazie a Shakespeare (non solo Shakespeare è uno scrittore contemporaneo ma tutti i "classici" che leggiamo) ma anche grazie a un carcerato di qualche secolo dopo. Un carcerato che ha fatto una cosa che a volte ci sembra davvero difficile - o troppo facile? - da fare: ha letto e poi, come capita a chi legge, si è immedesimato. Ecco, forse basta leggere per capire noi stessi e le parole che ci hanno detto una volta i nostri amici contrabbandieri E invece noi, a volte così splendidamente ingegnosi, pensiamo a cose più complicate per far funzionare la letteratura (e l’arte). Ripeto, forse basterebbe fare una cosa sola: leggere. Non molto altro.