Ogni giorno (oggi, ad esempio, ho letto questo articolo del grafico Riccardo Falcinelli) mi capita di leggere o sentire un rimedio o una ricetta che possa evitare la chiusura delle librerie che ancora, in Italia, non hanno chiuso. Questi, chiamiamoli così, “consigli” sono più o meno d’accordo sul fatto che le librerie, in un futuro non troppo distante, dovranno ospitare eventi, caffetteria e cartoleria per attirare gente. Non solo libri, dunque. Bello e giusto che qualcuno si preoccupi per le librerie e per quello che si può fare perché le librerie non scompaiano. Questo preoccuparsi ha, molto probabilmente, un nome: sensibilità. Scrivo solo per dire una cosa che penso da tanto tempo e cioè che una libreria che si integra con eventi, una caffetteria e cartoleria per, come scrive Falcinelli, “allietare una passeggiata” non è più, secondo me, una libreria, ma qualcos'altro. Una cosa che non è né più brutta né più bella: solo una cosa diversa. Farei la firma, oggi, per lavorare in un negozio che vende eventi, caffè, penne e, già che ci siamo, strumenti per fare letteratura. Però dovessi mai entrare in un negozio così, entrerei sapendo che non sto entrando in una libreria come la intendevo (la intendevamo?) fino a poco tempo fa e cioè un luogo dove i libri hanno la capacità di separarsi e separarci da tutto il resto. Separarsi per poter guardare il mondo con un pizzico di distacco e quindi valutarlo, criticarlo, pesarlo.
Qualche giorno fa ad un amico ho detto quello che ora ho scritto a voi qua sopra: salvare una libreria con una caffetteria significa incominciare a fare qualcosa di diverso. Ecco, lui mi ha risposto che sarebbe come mettere le zoccole in chiesa per aumentare il numero di fedeli durante la messa.