Ieri, dopo pranzo, per andare a lavorare, sono andato in garage, sono salito in macchina e, girata la chiave, il motore ha preso a tossire e a sussultare. Ho fatto passare un paio di minuti e poi ho riprovato ancora ad accendere. Ma niente. La macchina stava peggio di prima. Che fare? L’unica cosa da fare era prendere un treno che mi portasse a Brescia e poi da Brescia un autobus che mi portasse quasi davanti al centro commerciale. Così, di umore nero, mi sono incamminato verso la piccola stazione del mio paese, che non è poi così vicino a casa mia. Ho anche telefonato in negozio per avvertire che sarei arrivato in ritardo. “In ritardo di quanto?”, mi ha chiesto la mia collega. “Ancora non lo so, dipende dal treno”, ho risposto dispiaciuto e lei, dopo tre secondi tesi e silenziosi, mi ha detto “Vabbè, ti aspettiamo”. Vabbè, aspettatemi, ho pensato seccato. Una decina di minuti dopo, in stazione, ho guardato l’arrivo e la partenza del treno per la città: tredici e cinquanta. Visto che più o meno erano le tredici e trenta, avrei dovuto aspettare una ventina di minuti. Ho cavato dalla tasca il telefono, ho chiamato in negozio e alla mia collega ho detto che se tutto andava liscio sarei arrivato alle tre. Più o meno per le tre, minuto più, minuto meno. Che cosa ci potevo fare?
Una volta fatta la telefonata, sono entrato in una piccola sala d’aspetto, insieme a una signora e a un ragazzo, che se ne stavano lì seduti, muti. Io ho salutato, loro mi hanno risposto con un bel sorriso e poi mi sono accomodato su una panchina, non tanto distante da loro. Siamo rimasti in silenzio ad ascoltare il rumore delle foglie trascinate dalle macchine che passavano sulla strada principale.
Fissavamo il soffitto, come un tic nervoso io guardavo lo schermo del cellulare, ci alzavamo, ci risistemavamo sulla nostra panchina, sussurravamo parole al vento e poi facevamo altre cose, come esseri umani che aspettano e non si parlano. Poi, per rompere la noia, ho detto qualcosa, tipo “Speriamo che il treno non arrivi in ritardo” e loro hanno allungato il discorso con complicità e simpatia. E così abbiamo cominciato a parlare. Io ho raccontato della mia macchina scassata, del fatto che lavoro in una libreria, che abito lì in paese e loro mi hanno raccontato di abitare, invece, in un paese lì vicino, di essere argentini e di vivere in Italia da oramai otto anni. “Lui è mio figlio”, mi ha detto lei. Con un po’ di ritardo tutti e tre ci siamo stretti le mani e ci siamo presentati (Rosa lei, Alessandro lui). Poi il nostro treno per Brescia è arrivato. Siamo saliti, ci siamo seduti vicini e abbiamo parlato ancora, in modo facile, gentile e cordiale. Come non capita spesso, mi viene da dire.
A un certo punto della conversazione, Rosa mi ha detto: “Noi facciamo parte della chiesa evangelica e ogni domenica, di mattina, ci incontriamo in città con la nostra comunità. Ci ritroviamo per pregar e per stare un po’ tutti assieme. Perché una domenica non vieni pure tu?”. E questa cosa della comunità evangelica (mi sembra chiesa evangelica, ma ora non ne sono più così sicuro), non so perché, mi ha fatto arrossire e arrabbiare. Ce ne stavamo lì a parlare delle nostre vite e lei se ne esce con questa cosa della chiesa evangelica. Pregare? Stare tutti insieme? “Guarda, di domenica lavoro”, ho detto un po' tagliente, “e poi non vado in chiesa da almeno quindici anni”. E “almeno quindici anni”, ora che ci ripenso e sto scrivendo, l’ho detto con soddisfazione, sogghignando come sogghignano le persone che sanno di avere ragione. “Non voglio insistere”, mi ha detto ancora lei, "ma guarda che sei invitato, senza alcun impegno. Ci ritroviamo di domenica, tutti quanti, solo per affrontare con la preghiera e la vicinanza le nostre vite. Niente di più”.
Adesso vi racconto cosa mi è successo: dentro di me si è rotto qualcosa. Un argine ha fatto esplodere le proprie crepe. Non ci ho più visto, come si suol dire. Ho pensato che tutto il loro parlare avesse avuto solo quel fine e cioè di portarmi di domenica nella preghiera e nella vicinanza. A Rosa, con molta gentilezza e anche con un giro di parole, ho detto che secondo me le vite di tutti noi vanno affrontate con un pensiero laico, con un’idea forte, con la cultura e l’intelligenza: non con la preghiera, e neppure con la vicinanza (ma Rosa, noi lo sappiamo bene, voleva dire fratellanza, non vicinanza). A un certo punto mi sono ritrovato a dire (non so cosa c’entrasse) questa frase rubata a un film di Woody Allen: “ Il problema non è mica tra l’uomo e un essere superiore e immaginario, ma tra l’uomo e chi possiede il 90 % della ricchezza del mondo”. E allora, fatta la citazione, ho riso, ho sparpagliato il mio sguardo per tutto il vagone che ci portava a Brescia, sicuro di cogliere un applauso, un sorriso d’intesa. La preghiera? La vicinanza? Lo stare tutti insieme, di domenica? No, io non sono fatto così, ho pensato ancora. Che vengano loro ad ascoltare alcuni dibattiti, a farsi un'idea su come funziona il mondo. Non io da loro a pregare e a stare “tutti assieme”.
Rosa e Alessandro, poi, hanno guardato fuori dai loro finestrini appannati. Io ho guardato le mie mani screpolate dal freddo. Arrivati a Brescia, siamo scesi dal treno e ci siamo dati un'affettuosa pacca sulla spalla dicendoci: “chissà, magari ci si rivede”, “io so dov’è la chiesa e voi sapete dov’è la libreria in cui lavoro”. E poi ci siamo separati, sotto il cielo basso e grigio, ognuno verso i propri alveari da occupare. Da solo, ho preso un autobus che mi ha portato in negozio, e in negozio, ieri, ho parlato, ho consigliato e venduto libri. Ieri, grazie a me, alcune somme sono state prese da conti correnti e messi su un altro conto corrente, gli zeri si sono moltiplicati, le transazioni non hanno conosciuto intoppi. Di me, ieri, non ho detto niente a nessuno. Sono stato riservato, gentile e affabile, come quasi sempre. Poi da solo ho preso un autobus e da solo ho preso un treno. Sono rientrato in casa, ho mangiato un pezzo di formaggio, ho guardato in tv un bel servizio sui passi in avanti che ha fatto in questi anni la meteorologia, ho letto un po', ho guardato fuori dalla finestra e poi sono andato a dormire, in silenzio, nella pace dei sensi, come un bravo illuminista che ha fatto le cose come si devono fare.
Vi ho raccontato tutto questo nei venti gradi programmati della mia stanza, al sicuro, nel silenzio calcolato, davanti al mio pc. Poco fa una persona competente ha cambiato la batteria della mia macchina, che è tornata ad accendersi dopo un giro di chiave. È ritornata la scintilla. Tutto, ora, è al suo posto, in ordine. Bene così.
«Di me, ieri, non ho detto niente a nessuno.»
RispondiEliminaSolo perché hai un blog.
(probabilmente è una chiesa evangelica. Qui a Milano c'è una comunità latinoamericana, per esempio, che la frequenta)
Siete tornati, cazzo.
RispondiEliminaFinalmente.
Essere atei, illuministi o razionali non significa essere scorbutici, riservati, soli.
RispondiEliminaD'altra parte, capita anche a me, statisticamente, di scoprire un maggiore desiderio di contatto da parte di persone credenti - o più precisamente: da parte di persone che poi tentano di coinvolgerti in qualcosa.
Come sempre sai creare un'atmosfera magica, nei tuoi post.
RispondiEliminaMi piace che Alessandro nel giro di pochi minuti è diventato Alessandra ;)
RispondiEliminaAl
Ops. Grazie, ho corretto ;)
EliminaDa qualche giorno anch’io ho abbandonato l’auto e ripreso i mezzi pubblici (una diligenza che si ferma nelle stazioni più dimenticate). Tra i pendolari abitudinari, a parte i gruppetti che pretendono di trovare otto posti affiancati per ricreare il senso di comunità, c’è poca voglia di chiacchiera, grande isolamento e punta voglia di fratellanza.
RispondiEliminaIl tuo racconto mi ha fatto pensare, però, al rappresentante che la settimana scorsa ha suonato alla porta dell’ufficio cercando di rifilarci una Bibbia in dvd. Stabilito che non eravamo interessati, a tutti i costi l’omino voleva sapere cosa ne pensassi dell’iniziativa. “É un’idea simpatica, no? Almeno mi dica cosa ne pensa di queste incursioni per spezzare il ritmo lavorativo”. Io che mi sono sposata con rito civile e che non vado in chiesa da un pezzo, che potevo rispondergli? Infastidito, il rappresentante è andato via dicendo che ormai badiamo solo a cose a materiali e che non abbiamo neppure due minuti di tempo per soffermarci sull’aspetto spirituale della vita.
Grazie di essere tornato, grazie di scrivere, sono proprio contento.
RispondiEliminaMa proprio contento!
Wow! Finalmente!
RispondiEliminail mio bambino, che adesso parla, avrebbe detto che la tua auto è impazzita ( perchè quando è successo a noi lampeggiava tutta): è nel suo periodo animista, ne è profondamente convinto e coinvolge tutti
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