Il blog Giramenti qualche giorno fa ha presentato un breve elenco di libri “stranamente in sconto al 60%”. “Stranamente” è ironico, ovviamente, visto che i titoli e i contenuti di questi libri sembrano dichiarare sin da subito un tragico insuccesso editoriale: Perché non mangiare gli insetti?; I porci comodi. Vita, morte e miracoli del porco; Decoupage. Regali per lui, e gli altri titoli li potete leggere voi per farvi un’idea di quello che quotidianamente (credetemi, quotidianamente) arriva dentro le scatole che i librai devo aprire. Premetto che tutti i tentativi delle piccole o grandi case editrici di iniettare nel mercato libri “curiosi”, “particolari”, “originali”, “alternativi” sono ben accetti. Le librerie è giusto che abbiano sui loro scaffali qualcosa di diverso ed è giusto, per fare un esempio, che il signor Alderton David abbia la possibilità di scrivere e pubblicare un corso di linguaggio felino sui gatti: perché ha fatto delle ricerche, perché ha studiato anni e anni, perché è stato un attentissimo osservatore, perché ha analizzato e confrontato e perché, soprattutto, aveva voglia di scrivere un libro su un argomento che gli stava a cuore. Siamo in molti a voler scrivere un libro, a mostrare agli altri quello che abbiamo dentro e quello sappiamo fare o dire. E quindi.
Suonerebbe antipatico dire che le case editrici sono miopi e che dovrebbero valutare decisamente meglio la qualità di quello che pubblicano, per gli esiti culturali ma anche per quelli commerciali (le case editrici e le librerie devono far tornare i conti, giustamente). Suonerebbe antipatico se non fosse che i libri che meritano o meriterebbero molta più attenzione e maggiore permanenza sugli scaffali vengono letteralmente sommersi dai libri “curiosi”, “particolari”, “originali” e “alternativi”, con lo spiacevole risultato che in libreria silenziosamente entra il caos, chiaro prolungamento dell’abbondanza. È giusto dare spazio a tutti? Se il prezzo da pagare è troppo alto molto probabilmente no, non è affatto gusto. Qualche giorno fa ho letto le prime pagine del libro Il caso Cobain. Indagine su un suicidio sospetto, pubblicato dalla casa editrice Chinaski Edizione. La lettura parziale di questo titolo mi proibisce di fare una recensione approfondita e dettagliata, ma vi posso dire (e un pochino dovete fidarvi) che il libro è oggettivamente sconclusionato e scritto molto male. Un libro che verrà presto dimenticato ma che intanto ha ingolfato certe arterie che avrebbero potuto dare più respiro e movimento all’argomento e a chi questo argomento lo ha trattato con più professionalità e lucidità.
Secondo me tra l’idea di uno scrittore o casa editrice e la pubblicazione di un libro manca, spessissimo, una cosa sola: un essere umano intelligente, quello che dice, grazie alla sua cultura e onestà intellettuale (anche se non sempre le due cose stanno assieme) “questo libro fa schifo” o “questo libro non lascerà alcuna traccia”. Mi fa sorridere che per promuovere la lettura o per salvare le librerie ci inventiamo certi festival o certe iniziative accattivanti - che è giusto che ci siano, ci mancherebbe - quando basterebbe all’interno del sistema letterario la presenza di un uomo intelligente. Di uno che sappia, dopo aver studiato e faticato, che cosa è giusto e cosa è sbagliato, che cosa potrebbe trainare quella che noi continuiamo ostinatamente - e non sempre vedendoci chiaro - a chiamare cultura e che cosa, invece, è sterile o inappropriato.