giovedì 20 marzo 2014

I miei libri

del Disagiato

Siccome bisognava riempire una biblioteca “povera”, il sindaco di Lampedusa meno di un anno fa fece un appello: Help, qui mancano libri. E la risposta non mancò, visto che a rispondere furono in moltissimi. A un certo punto, addirittura, a Lampedusa consigliarono di smetterla, che di volumi ne erano arrivati abbastanza. I più, sui giornali e in rete, sottolinearono la sensibilità dei lettori italiani, infelici di vedere un luogo senza biblioteca aggiornata e senza una libreria che fosse un punto di riferimento. A me venne invece da pensare che alla gente, ai lettori, importava così poco dei loro libri che stavano sugli scaffali o rinchiusi negli scatoloni in cantina, da arrivare a regalarli. Certo, per una giusta causa. Così come a me oggi poco importa della maggior parte dei libri che ho in casa. A volte, come fa l’investigatore privato Pepe Carvalho, tutta questa carta la brucerei. Ma non ho camino e fuoco da nutrire. Anni fa non comprendevo quel gesto da piromane – i libri sono sacri, i libri li bruciavano i fascisti, mi dicevo - oggi, invece, lo comprendo benissimo. 

Mi priverei di un’altissima percentuale di libri. La maggior parte di questi non ha avuto e non ha ancora oggi alcun valore: ciò significa che in vita mia ho perso tanto tempo anche con la lettura, perché mi sono fidato delle case editrici e perché ero ingenuo (ora, siccome non si migliora mai, lo sono verso altre questioni). Guardando la mia libreria comprendo anche che leggere mi è servito a poco e che leggere non ha contribuito in nessun modo a cambiare il mio e il vostro mondo. Continuo a essere infelice, come lo ero una volta, appassionatamente. Terrei con me i libri di Primo Levi, di Pier Paolo Pasolini, di Michel Houellebecq, di Giovanni Giudici, di Franco Fortini, di Italo Calvino e di pochi altri. Questi sono scrittori che, come si usa dire stupidamente, porterei su un’isola deserta. Scrittori che non mi hanno reso felice ma più infelice ancora. Ma infelice in maniera disciplinata. Scrivendo di Verga e di mastro don Gesualdo, David Herbert Lawrence disse: “Gesualdo è un uomo comune, dotato di energia eccezionale. Tale è, naturalmente, nell’intenzione. Ma egli è siciliano. E qui salta fuori la difficoltà”. Non sono siciliano ma ho il vizio (un vizio ostinato) di appropriarmi della condizione degli altri, anche se in nulla somigliano alla mia. “Ma egli è umano. E qui salta fuori la difficoltà”, ora scrivo, allargando a dismisura la questione, per fare un personalissimo punto della situazione. Si vive con difficoltà, quindi. Nonostante i libri letti che riempiono la stanza.