domenica 23 marzo 2014

A vedere sempre le cose a peggio

del Disagiato




Magari in questi anni mi sono perso qualcosa per strada, ma la mia impressione è che in Italia – qualcuno dice che è la patria, o tra le patrie, del calcio – non c’è stato ancora un regista così abile da fare un bel film sul calcio, come negli Stati Uniti hanno fatto con il football o con il baseball. La colpa, forse, è del calcio stesso, uno sport che non riesce a farsi raccontare e descrivere dal cinema. O forse, più semplicemente, i registi italiani non sono ancora capaci a raccontare lo sport che la maggior parte degli italiani ama o subisce (ama e subisce). Mi sembra che un film quasi decente – secondo me una valida recensione, sul sito Ondacinema, è questa – sul rugby sia invece comparso. Si intitola Il terzo tempo e il regista è Enrico Maria Artale. Ripeto, non è un film splendido, o assolutamente da vedere, per il motivo che allo sport si intrecciano una storia d’amore (a mio parere un vizio del cinema italiano è quello di metterci sempre, ovunque, una storia d’amore) e una storia di riscatto, rendendo così il tutto a tratti dispersivo e “già visto e sentito”. Vale la pena di vederlo perché l’ingombrante sentimento dello stare tutti uniti, senza strappi, per arrivare al successo, e la retorica che sta attorno all'ottimismo obbligatorio e al terzo tempo rugbistico, e cioè quel tempo in cui i giocatori e i tifosi, insieme, dopo la gara, festeggiano non la vittoria della partita ma la partecipazione alla partita, vengono messi, anche se non duramente, in discussione. Durante la pausa l’allenatore chiede ai suoi giocatori cosa manca per riacciuffare il risultato, in quel momento disastroso, e c’è chi dice che mancano le palle, chi dice che manca la concentrazione, chi la testa e chi il cuore. E allora il protagonista, romanaccio, che da pochissimi giorni conosce e pratica il rugby, interviene: 
Io non ci ho mai creduto a questa stronzata del cuore. Io non ci ho mai creduto negli sfigati, non ho mai creduto che uno che è abituato a perdere un giorno alza la testa e vince, perché non ho mai creduto nei perdenti, nei falliti, nelle mezze pippe, come voi. Come noi. Quello che vi voglio dire è che a vedere sempre le cose a peggio, a pensarla sempre male ti senti più forte, perché ti aiuta, ti protegge. Però a volte ti puoi pure sbagliare e io oggi sono sicuro che mi sbaglio. 

 Ecco, a me sembra un discorso sensato, anche se, quasi sempre, secondo noi, non ci sbagliamo.