venerdì 16 agosto 2013

Strano davvero

del Disagiato

In questi giorni, in libreria, alcuni operai stanno smantellando una parte del negozio: via libri, via scaffali, via insegne, via lampade e via addirittura la parete che separava il reparto dedicato ai libri per l'infanzia dal nostro magazzino (e in questi giorni, quindi, non abbiamo più un magazzino dove mangiare o passare i minuti della nostra pausa). Ho notato che io e i miei colleghi non siamo tristi, ma curiosi e un poco increduli. La tristezza, invece, la stiamo elaborando o risolvendo tra le stanze di casa nostra, con amici e parenti. I clienti ci chiedono se stiamo ristrutturando il locale. “No, stiamo chiudendo”, rispondiamo con un piccolo sorriso, e loro se rimangono a bocca aperta qualche secondo, rifanno la domanda, riascoltano la nostra risposta e poi reagiscono a modo loro. Molti non dicono, come ci saremmo aspettati, “peccato” o “mi dispiace” ma “strano”, a bassa voce, guardando noi e poi la libreria che lentamente sta evaporando come acqua al sole. Già, strano che l’unica libreria della zona e del centro commerciale debba o voglia chiudere. Poi ci sono i clienti affezionati, quelli che entrano in libreria da sempre, che una volta sapute le ragioni di questo smantellamento ci chiedono i veri motivi che stanno alla radice; e poi, prima che riusciamo ad aprire la bocca, i  motivi (gli ebook, la crisi e via dicendo) ce li elencano loro, come per dire che sì, prima o poi la chiusura della loro libreria di fiducia se la aspettavano. Tutti i giorni sui giornali o in televisione si parla di librerie che chiudono oppure no?

I clienti più che affezionati, quelli che vediamo tutti i santi giorni dopo il loro orario di lavoro, ci hanno confidato che per loro questa libreria è l’unico luogo di tranquillità. “Esco dall’ufficio, vengo qui e mi riposo”, mi ha detto una signora che oramai conosco bene. “Come farò adesso?”, mi ha chiesto. “Ci sono altre librerie”, ho detto per consolarla e lei, molto gentilmente, mi ha risposto che “non sarà mai la stessa cosa”. Ho sorriso e lei mi ha guardato con occhi resi grandi dall’incredulità e dal dispiacere. Insomma, per questi clienti la libreria dove ho lavorato per otto anni circa era un posto dove staccare la spina, riposare, rilassarsi, liberarsi di un peso, passeggiando tra i volumi, conversando, a volte, con noi o con altri clienti che erano lì per gli stessi motivi. A questi clienti vorrei dire che mi dispiace per loro e per la libreria e per tutti noi che ci siamo dati da fare per tenerla in piedi, ma invece non dico e non diciamo niente di veramente importante. Sorridiamo. In queste ore, in negozio, sorridiamo e basta, e ai sorrisi sappiamo allegare solo poche parole e un poco di silenzio. Guardiamo gli operai che là in fondo fanno rumore e portano via lamiere, polvere, plastica, vetro, rimasugli di carta e detriti. Perché soprattutto di queste cose era fatta la nostra libreria.