del Disagiato
Deve essere un difetto della mia memoria ma Franco Califano
me lo ricordo più come un personaggio della tv buono da prendere per il culo
per la parlata biascicata o per la passione sua per le donne e la vita
notturna, che come cantante nostalgico sentimentale di borgata, come scrivono
ora i giornali. In questi ultimi anni era diventato la caricatura di se stesso
e il carico ce lo metteva lui e ce lo mettevano i conduttori simpatici che lo
ospitavano e lo facevano cantare per qualche minuto, trattandolo come l'ultimo testimone di un mondo che poi è esploso o si è inabissato per sempre. Magari è un difetto della
mia memoria ma anche il momento canoro andava a inserirsi nel grande circo
televisivo che si innalzava quando Califano si metteva davanti alle telecamere: signore e signori ora una cosa davvero strana, un cantante che canta in
romanesco di gente di borgata. Come se il dialetto e la borgata e le donne e il
cuore e gli amici e la nostalgia e la povertà appartenessero a un contesto che
male s’incastra con le nostre vite e i palinsesti televisivi che abbiamo tutti
insieme costruito in questi anni, mattone berlusconiano dopo mattone
berlusconiano. A ottobre Lorella Cuccarini ha ospitato nel suo programma
Edoardo Vianello e Franco Califano, e la presentatrice ha chiesto che Roma fosse
quella della loro amicizia. Califano, come se avesse le parole in bocca da settimane, è intervenuto per dire che la Roma di Vianello era una Roma
e la sua era un'altra; Vianello era una persona serissima mentre lui, Califano, serio lo era un po' meno. Ecco, non che la domanda fosse stupida, ma la risposta la trovo
davvero intelligente e pure elegante, perché Califano, in televisione, a volte, era proprio così, si strappava il vestitino
che gli davano nello studio televisivo per mostrare che in fondo, lui, un punto
di vista poetico, lucido e personale ce l’aveva davvero per scrivere canzoni e poesie. E infatti queste canzoni, come una volta, ultimamente le cantava non solo in televisione.