Ho letto questa brevissima intervista a Pierluigi Battista in
cui si discute del suo nuovo libro, I libri sono pericolosi. Perciò li
bruciano, degli effetti della rivoluzione della stampa e della conseguente
democratizzazione culturale, rinvigorita anche dalla rete e dalla maggiore
possibilità d’intervento da parte del lettore e, se ho capito bene, del
cittadino. Solo una riflessione. Secondo me la vera rivoluzione del passato è
stata non la possibilità di stampare e pubblicare tanto ma di responsabilizzare
(e pagare) un gruppo di intellettuali che filtrasse e giudicasse ciò che si voleva venisse stampato. Questo accadeva, e un poco ancora accade, nelle case editrici. Non solo,
grazie a questi intellettuali, abbiamo letto ottimi libri (alcuni sono diventati classici) ma non ne abbiamo letti altri. E per
fortuna. Chissà quanti romanzi o saggi sono stati bocciati per la loro scarsa
qualità. È stato questo filtro – un filtro che per mezzo di una profonda, e a
volte difettosa, riflessione ha sdoganato ma anche bloccato - che ha valorizzato
la stampa: certamente anche la scrittura fu una vera rivoluzione ma una riflessione sulla scrittura ha fatto molto di più. La mia sensazione (ma è più di una sensazione) è che il vero
problema, oggi, nelle case editrici e nelle librerie, non è la minaccia della
censura (il libro bruciato è a sua volta una buona immagine che vende libri) ma la moltiplicazione
scriteriata e assurda dei libri. Questo avviene perché i progetti sono mutati, perché manca il
filtro: un gruppo di intellettuali che pensa che la quantità non è la qualità,
che la cultura deve prendere le distanze, perlomeno inizialmente, dal marketing.