Volevo segnalarvi un brano di un articolo di Mario Sconcerti pubblicato lunedì sul Corriere della Sera. Come in quasi tutti i suoi libri e articoli si parla di calcio, ma, come già ho scritto in passato, non solo di questo. Tanto tempo fa dissi a una amico che il cinema mi piaceva ma che purtroppo non amavo molto, come li amava lui, i film di guerra. Lui allora mi consigliò di guardare "La sottile linea rossa" e "Full Metal Jacket" (e altri ancora) perché quelli non erano film di guerra ma film su esseri umani che facevano la guerra o pensavano alla guerra. La carneficina e le logiche militari in quelle pellicole erano ridotti a contesti, stavano sullo sfondo. E quei film li apprezzai tantissimo, in effetti (non amavo i gialli e i polizieschi, ma dopo aver visto "Heat - La sfida" o "L’ultima missione" i miei gusti hanno conosciuto qualche modifica). Questo per dirvi che Mario Sconcerti scrive non di calcio ma di esseri umani che fanno e pensano calcio, rintracciando difetti e virtù, parlando certamente di noi. Noi, che magari non siamo tifosi, appassionati, giocatori o allenatori. In un libro di Gianni Brera che si intitola "Il mestiere del calcio", la prefazione incomincia così: Veniamo subito al dunque: Gianni Brera è ancora attuale nel calcio stramilionario e frenetico d’oggi oppure è archeologia pallonara? Se lo chiedono soprattutto i più giovani pensando a noi senzabrera come inguaribili nostalgici di un calcio che fu. Balle! L’uomo che ha inventato la letteratura sportiva è più che mai attuale perché lo è il suo modo di intendere il calcio, di descriverlo valorizzando la tecnica e il gesto atletico, dando alle cronache sportive una dignità che prima non avevano... A me sembra invece che Brera è ancora attuale per un altro motivo, e cioè perché scriveva non di calcio e ciclismo (non solo) in un certo modo, ma perché scriveva di esseri umani come noi (con tanti limiti, follie, difetti e malinconie come noi) che praticavano il ciclismo o altri sport. Così fa Mario Sconcerti (forse anche di più), che secondo me è uno scrittore straordinario.
Ecco il brano, sulla Juventus e il suo allenatore, dopo un 2 a 2 con il Verona:
Nelle ultime cinque partita ne ha subiti 7, nelle precedenti nove uno appena. C’è qualcosa che ha smesso di essere un meccanismo esatto, ma non è chiaro cosa. Conte parla di mancanza di umiltà. Mi sembra troppo grave. Fosse vero significherebbe un cambio psicologico di troppi gradi, non si passa in un giorno dall’umiltà alla presunzione, succede qualcosa nel mezzo che determina. Mi sembra anche una malattia troppo facile da raccontare. Elimina gli squilibri tecnici e la forza degli avversari. È in sostanza una diagnosi presuntuosa proprio quella che denuncia la mancanza di umiltà. Forse Conte dovrebbe esaminare anche se stesso nella cifra del conto. Essere nettamente primi e negarsi il silenzio stampa la domenica solo se si è sotto contratto, cioè solo se girano soldi, è professione d’insofferenza, non di umiltà. La stessa che si rimprovera alla squadra. Se chiudi tutto in una torre d’avorio, evitando a te e agli altri la banalità degli esseri umani, non puoi meravigliarti se i tuoi giocatori alla fine credono davvero di essere avorio (…)