David Mamet in uno dei suoi saggi raccolti in I tre usi del coltello (minimum fax, 2002, L’interpretazione orale, pag. 256) scrive che un buon modo per un attore di recitare la propria battuta è quello di recitare la propria battuta. Niente di più. Un giorno un regista gli telefona e gli chiede: "C’è un personaggio nel tuo copione che dice 'Sono in Germania da qualche anno'. Ecco, quanto anni sarebbero esattamente?". Legittimo desiderio voler sapere come recitare conoscendo i dettagli, ma Mamet a quel regista risponde ugualmente che dare informazioni sarebbe cosa futile e insensata. A che serve? Chiedersi quanti anni il personaggio ha passato in Germania, continua, è come chiedersi che mutande porta. La battuta “Sono in Germania da qualche anno” non può essere recitata in modo diverso da “Sono in Germania da qualche anno”. Mamet è contro quella scuola di pensiero teatrale che vuole che l’attore interpreti con sentimento, o una certa carica, la propri parte: dire la parola “amore” in tono carezzevole e la parola “freddo” rabbrividendo non significa recitare, ma fare le Voci. Voler sapere tutto del proprio personaggio e dell’epoca in cui visse non serve né all’attore né al suo personaggio. E non serve neppure allo spettatore. Quando siete sul ring, ci dice ancora Mamet, non vi serve conoscere la storia della boxe: “Dovete imparare le battute, leggere il testo con semplicità per trovare un’azione semplice per ogni scena, e poi salire sul palco e fare del vostro meglio per compiere quell’azione, e mentre fate questo, aprire semplicemente la bocca e lasciare che le parole escano come vogliono, come se non significassero nulla, in un certo senso”.
Ogni volta che vedo recitare Valerio Mastandrea mi ritorna in mente questo breve saggio di David Mamet e ogni volta capisco perché Mastandrea è così bravo a fare il suo lavoro. Bravo quanto Marcello Mastroianni che recitava “Sono in Germania da qualche anno” dicendo semplicemente “Sono in Germania da qualche anno”.