Quasi ogni giorno leggo che prossimamente uscirà un libro scritto da un libraio sul mestiere del libraio. “Il libraio si racconta”, “Diario di un libraio”, “La libreria vista da chi ci lavora” e altre ancora sono le formule che sintetizzano l’argomento. Un punto di vista che conosco bene e che pure io ho cercato di raccontare su questo blog con passione e, ma non sempre, con lucidità. Essendo un argomento che mi interessa e che a volte mi sta davvero a cuore, non posso che essere contento che chi lavora in libreria abbia qualcosa da dire, raccontare e descrivere. Mi sembra una cosa bella, insomma. Una cosa bella, ma non una buona notizia. Se è vero che i libri sono, o dovrebbero essere, la trasmissione di un problema (non per forza da risolvere, ma anche solo da guardare in faccia per capire qual è la malattia), allora significa che i librai e le librerie incominciano ad avere una paura. Così seria da raccontarla e condividerla, appunto. Non che i romanzi, i saggi e i diari debbano per forza essere scritti da persone in apprensione, ma sono dell’idea che chi scrive lo fa sì per fare un po’ di chiarezza e per portare un contributo, ma anche per fare la cronaca di una rottura o di una seria stortura. Per dire, con urgenza e magari indirettamente, solamente quello che non va.
Ingenuamente continuo a pensare che parlare di librerie e di libri significhi anche parlare di letteratura. Franco Fortini, in Verifica dei poteri, scriveva: “Non esiste problema della poesia o della letteratura che non sia della società. Qualsiasi discorso sulla letteratura e sulla poesia che per voler essere un discorso su di un distinto respinga le implicazioni, cioè le eteronomie, è obiettivamente errore e menzogna”. Non basta questa frase a confermare la mia sensazione, ci mancherebbe, ma secondo me i libri scritti dai librai non ci dicono solo quello che sta capitando alle librerie, ai libri e ai clienti ma anche (e chissà, forse soprattutto) quello che sta capitando alla società, a noi che in libreria non ci andiamo più. Prima ci andavamo e ora invece no. Alla letteratura e alla poesia, allora, sta forse capitando qualcosa di grave, anche fosse solo un mutamento che ci dispera per il dispiacere di non veder più le cose come erano prima. Un amico, qualche anno fa, mi confessò di essere diventato talmente serio e teso con se stesso da non riuscire più a piangere. Mi disse questo piangendo. Spero di non esagerare e di non allontanarmi troppo dal cuore del discorso, ma i blog (compreso questo) e i libri dei librai mi sembrano un po’ quel mio amico. Stiamo dicendo agli altri come non affondare affondando, pubblichiamo per dire che nessuno legge più le pubblicazioni. I post e le pagine certamente rimarranno utili come una scatola nera.