mercoledì 8 aprile 2015

Non è l'inghippo


Il caso dirompente fu il passaggio alla Juventus di Virginio Rosetta, ma con il calcio già ben organizzato le società più ricche puntavano ogni volta ai giocatori migliori. Si cominciò a dover cercare una giustificazione. Il problema non è mai l’inghippo, è la trasgressione. Il problema, in tutti i tempi, è poter spiegare, inventare una giustificazione. Fare quello che è utile a noi dicendo alla gente che si fa per il suo bene.
"Storia del gol" di Mario Sconcerti

sabato 4 aprile 2015

uno di quelli


Nell’atteggiamento, Renzi dimostra più o meno venticinque anni. Venticinque anni sono una bella età. Stanno dopo l’età dell’insicurezza, quando si è cattivi soprattutto perché si è spaventati, e vengono prima dell’età della disillusione, quando si capisce che la vita può ancora cambiare, ma non molto, si fanno bilanci, si cerca una nicchia e si comincia a pensare alla pensione integrativa. Un quarantenne che conserva la mentalità, la frenesia, il linguaggio, la determinazione di quando eveva venticinque anni può essere un coglione infrequentabile, uno di quelli che si schiantano facendo bungee jumping. O può essere un condottiero.
"Essere #matteorenzi" di Claudio Giunta

ha un debole per questo mondo


In questa distinzione tra allegri (coraggiosi) e musoni (vili) non c’è bisogno di dire da che parte stia Matteo Renzi. Leggendo quello che scrive o gli scrivono, ascoltando quello che dice, guardandolo in faccia, si avvertono una serenità e un ottimismo troppo perfetti per poter essere simulati. In Berlusconi si percepiva, anche nei momenti trionfali, un sottofondo di angoscia, un’amarezza che nasceva sia dal terrore dell’invecchiamento sia dal disprezzo per gli altri esseri umani. Persino Veltroni ha i suoi luoghi oscuri, e li infila nei romanzi. Renzi sembra essere invece invidiabilmente in sintonia con il proprio tempo. L’arte pop, diceva Warhol, “is about liking things”. Meglio che nella passione per le canzoni dei Muse o nelle foto con il giubbotto di Fonzie, l’indole pop di Matteo Renzi si rispecchia proprio in questa affettuosa relazione con, più o meno, tutte le cose che si trovano sotto il cielo. 
Ora, l’entusiasmo per il mondo può manifestarsi anche come nostalgia per la vita naturale, come francescanesimo, come ascetismo, e insomma, paradossalmente come atteggiamento anti-mondano. Renzi non sembra avere di queste tentazioni. Non è un reazionario, non ha un debole per il mondo naturale o per la vita semplice del mondo passato: ha un debole per questo mondo, con i suoi X Factor e i suoi Tweet. È il contrario del luddista. Anziché metterlo a disagio, come accade a quelli più vecchi di lui, i dispositivi della tecnica lo affascinano. Se riunisce i suoi fans alla stazione Leopolda a Firenze, si mette a leggere, deliziato, i messaggi che arrivano su Facebook. Se va a parlare alle Nazioni Unite, allunga il viaggio di cinque ore e va a incontrare gli italiani che lavorano alla Silicon Valley, non per darsi un tono ma perché crede davvero che questi colloqui abbiano un senso e un’utilità, che possano ispirarlo, dopodiché racconta entusiasta l’esperienza in un videomessaggio girato in aereo, mentre torna a casa. Non fosse il presidente del Consiglio, lo si incontrerebbe da Media World in trance acquisitiva, come Fantozzi, mentre mette nel carrello l’ultimo modello di iPhone, la nuovissima telecamera compatta (il premoderno Berlusconi, per continuare nel paragone, stampava edizioni del De contemplu mundi di Innocenzo III e dell’Utopia di Tommaso Moro, e finanziava la traduzione dello Zibaldone di Leopardi). 
"Essere #matteorenzi" di Claudio Giunta