lunedì 26 maggio 2014

Prima di cena

del Disagiato

Questo è lo splendido cielo sopra Tavira, in Portogallo, poco prima della nostra cena.




giovedì 8 maggio 2014

Forse non è una buona notizia

del Disagiato

Quasi ogni giorno leggo che prossimamente uscirà un libro scritto da un libraio sul mestiere del libraio. “Il libraio si racconta”, “Diario di un libraio”, “La libreria vista da chi ci lavora” e altre ancora sono le formule che sintetizzano l’argomento. Un punto di vista che conosco bene e che pure io ho cercato di raccontare su questo blog con passione e, ma non sempre, con lucidità. Essendo un argomento che mi interessa e che a volte mi sta davvero a cuore, non posso che essere contento che chi lavora in libreria abbia qualcosa da dire, raccontare e descrivere. Mi sembra una cosa bella, insomma. Una cosa bella, ma non una buona notizia. Se è vero che i libri sono, o dovrebbero essere, la trasmissione di un problema (non per forza da risolvere, ma anche solo da guardare in faccia per capire qual è la malattia), allora significa che i librai e le librerie incominciano ad avere una paura. Così seria da raccontarla e condividerla, appunto. Non che i romanzi, i saggi e i diari debbano per forza essere scritti da persone in apprensione, ma sono dell’idea che chi scrive lo fa sì per fare un po’ di chiarezza e per portare un contributo, ma anche per fare la cronaca di una rottura o di una seria stortura. Per dire, con urgenza e magari indirettamente, solamente quello che non va.

Ingenuamente continuo a pensare che parlare di librerie e di libri significhi anche parlare di letteratura. Franco Fortini, in Verifica dei poteri, scriveva: “Non esiste problema della poesia o della letteratura che non sia della società. Qualsiasi discorso sulla letteratura e sulla poesia che per voler essere un discorso su di un distinto respinga le implicazioni, cioè le eteronomie, è obiettivamente errore e menzogna”. Non basta questa frase a confermare la mia sensazione, ci mancherebbe, ma secondo me i libri scritti dai librai non ci dicono solo quello che sta capitando alle librerie, ai libri e ai clienti ma anche (e chissà, forse soprattutto) quello che sta capitando alla società, a noi che in libreria non ci andiamo più. Prima ci andavamo e ora invece no. Alla letteratura e alla poesia, allora, sta forse capitando qualcosa di grave, anche fosse solo un mutamento che ci dispera per il dispiacere di non veder più le cose come erano prima. Un amico, qualche anno fa, mi confessò di essere diventato talmente serio e teso con se stesso da non riuscire più a piangere. Mi disse questo piangendo. Spero di non esagerare e di non allontanarmi troppo dal cuore del discorso, ma i blog (compreso questo) e i libri dei librai mi sembrano un po’ quel mio amico. Stiamo dicendo agli altri come non affondare affondando, pubblichiamo per dire che nessuno legge più le pubblicazioni. I post e le pagine certamente rimarranno utili come una scatola nera.

lunedì 5 maggio 2014

L'alto e il basso

del Disagiato




Sono una persona pigra, lo ammetto, anche se questa pigrizia riguarda principalmente il movimento, l’attività fisica. Nella mia pigrizia faccio rientrare altre attività che hanno a che fare meno con l’avventura ma più con l’”impegno” intellettuale (messo tra virgolette, perché non so esattamente se il mio sia davvero un impegno). Ho bisogno, insomma, di stimoli interiori e non esteriori. È banale sottolinearlo, lo so, ma ognuno è fatto a proprio modo: c’è chi per stare bene ha bisogno di uscire e fare qualcosa e chi preferisce invece stare in casa e fare qualcosa. Non amo fare paracadutismo ma leggere un libro o guardare un film. Cerco quindi di fare quello che faccio al meglio, e cioè di guardare buoni film e di leggere buoni libri, che nella mia pigrizia, detto terra terra, mi facciano crescere interiormente o che mi diano una rotta. 

Ho notato, però, di avere un problema: faccio fatica a capire quali sono i libri che vale la pena leggere e quali no; quali film meritano il mio tempo (che passa e diminuisce sempre di più) e quali invece sono da tralasciare. Colpa mia, che non ho ancora l’intuito spontaneo e la giusta attrazione verso la qualità e il giusto. Ma colpa anche dei giornali, delle riviste e dei siti che quotidianamente leggo, che con la stessa professionalità, e a volte lo stesso entusiasmo, discutono di film o libri di qualità e di film o libri adatti solo al divertimento e all’intrattenimento. È come se vivessi nello spazio, dove l’alto e il basso, infiniti, hanno poco valore, perché manca un soffitto, un pavimento: le cose ti girano attorno e basta. Mi fido solo degli amici, della loro parola, perché grosso modo sono come me. 

Per il resto navigo a vista. Il sito Il post, come ha detto giustamente Giuseppe Lipari ieri, “si è ritagliato una funzione che non fa nessun altro giornale ormai: spiegare come sono andate le cose”, argomentando con lucidità e competenza, evitando titoli ruffiani e truffaldini. Ma Il post, solo per fare un esempio, parla dei Simpson e di Bergman allo stesso modo, come se fossero degni dello stesso scaffale. Uguale uguale a Matteo Renzi che mesi fa ha dichiarato che i Simpson “sono più significativi di mille trattati di sociologia”. E allora, in modo confuso (perché sono confuso) mi chiedo se tutto è adatto a spiegare e interpretare il mio mondo. Quando leggo l’Unità, il Corriere, Il Giornale di Brescia vedo la stessa chiarezza e la stessa mancanza di gerarchia del Post. Mi sembra che ovunque, al di là del mio davanzale, ci sia un unico scaffale, dove c’è tutto. L’altra sera, all’Olimpico, il tifoso che dettava i ritmi del dramma calcistico era tatuato (solo di più) come chi, poi, ha cantato l’inno nazionale. E questo è quello che mi ha stupito della vicenda, nella rigidità della mia riflessione. Fatico a capire cosa è bene e cosa è male, cosa sta sopra e cosa sotto, cosa vale la pena prendere dalla rete e cosa invece rimettere in mare.

giovedì 1 maggio 2014

Il contenitore

del Disagiato

Dopo che in questi giorni il gesto di Dani Alves – che ha mangiato una banana gettatagli in campo da un tifoso razzista – è stato ripetuto da tifosi e sportivi in segno di solidarietà, Michele Serra, da uomo di sinistra, riflette invece brevemente sul tifoso razzista e sul suo disprezzo. Io a questo punto (e con la consapevolezza che queste righe non sono assolutamente necessarie) allungo la catena della riflessione pensando al calcio e a quanto questo sport ha in questi anni letteralmente colonizzato le nostre menti e le nostre anime (se mai esiste una vita interiore). Il calcio ci ha invaso, insomma: Dani Alves, il Barcellona, il marchio Nike, gli sponsor, i palloni fabbricati o cuciti chissà dove e da chissà chi e via dicendo.