venerdì 28 febbraio 2014

Acqua e aria

del Disagiato


E poi sono stato a Cadice, città nella quale vorrei passare il resto dei miei giorni. Questo è solo un piccolo frammento del suo cielo e del suo mare, che tengo sempre in tasca e negli occhi.


giovedì 27 febbraio 2014

Far vincere la cultura

del Disagiato




"Il primo marzo compriamo un libro” è il titolo della nuova iniziativa organizzata dalla Fondazione Caffeina per incentivare le persone a investire in cultura, il vero motore di questo Paese. Il flash mob, nato quasi per caso sul web, che in poco tempo ha superato i 70.000 partecipanti, sta ancora crescendo in modo esponenziale. Tantissime le librerie di tutto il territorio nazionale - grandi catene e librerie indipendenti - che stanno aderendo al flash mob, promuovendo l'evento, proponendo sconti o organizzando altre iniziative. Come funziona: il primo marzo basta andare, con il segno di riconoscimento del flash mob, ovvero un nastro bianco sui vestiti, in qualsiasi libreria della propria città e comprare un libro, o più di uno. E ancora prima cliccare su “parteciperò” all’evento virtuale e condividere per far partecipare più gente possibile e quindi sensibilizzare sul tema cultura. 

Come avete letto qui sopra o come potete leggere sul sito della Fondazione, tra poco si promuoveranno e si sconteranno libri per – lo dico con un termine abusato ma in questo caso efficace – valorizzare la cultura. Ne approfitto per chiedermi cosa dovremmo mettere dentro la parola “cultura” visto che ogni partito politico (e i cittadini che votano i partiti) hanno idee diverse e molto personali sull’argomento. Per Bersani, ad esempio, una figura di riferimento culturale è Gramsci, per Renzi, invece, Jovanotti. Ci tengo anche a far presente che in questi ultimi tre o quattro anni le case editrici, e quindi le librerie, hanno centuplicato gli eventi e gli sconti sui libri, prima su una collana, poi su un’altra e via dicendo. Per noi librai era addirittura molto faticoso capire come e dove esporre i cartelloni colorati che pubblicizzavano le iniziative promosse per attirare gente. A nulla, però, è servito tutto questo e a nulla, temo, servirà il flash mob del primo marzo: non sono più libraio perché la libreria ha chiuso; tante altre librerie hanno chiuso o presto chiuderanno. Poi, secondo me, non sono i libri che portano cultura, ma è la cultura (che cos’è, da dove parte?) che dovrebbe portare ai libri.

mercoledì 26 febbraio 2014

Giallo, azzurro, verde, arancione

del Disagiato

Sono stato a Siviglia, dove oltre al sole e al cielo azzurro c'erano tante, tantissime arance.








martedì 25 febbraio 2014

Ritornare

del Disagiato



Si parte per staccare la spina, per risposarsi e per vedere posti nuovi. I perché di un viaggio sono molti e non sto qua a rintracciarli tutti, visto che già ci ho provato parecchio tempo fa. Rimane che secondo me il movente più valido se ne sta nel pensiero di un certo T. Wilson: “C’è chi viaggia per conoscere persone nuove. Io viaggio per dimenticare quelle che già conosco”. Significa far perdere le tracce, dimenticare, scappare, andarsene. Con il viaggio ci illudiamo di ricominciare da capo la nostra esistenza, anche se per una sola settimana o per dieci giorni o per un mese, consapevoli del ritorno, e consapevoli dell’esistenza dell’ingranaggio indistruttibile che ci fa tanta paura. Però fingiamo che l'ora d’aria possa servire a ricapitolarci, nonostante tutto. E bene facciamo a fingere. 

Una settimana fa sono partito per una breve vacanza con le stesse intenzioni di sempre e con la solita frase di Wilson in testa: disperdersi e mettersi alle spalle le persone, senza alcuna voglia di conoscerne di nuove. Ieri sera sono ritornato, con città e mare e sole ancora negli occhi. Ho svuotato la valigia, ho sistemato su una mensola un paio di ricordi, ho appeso al muro una cartolina, ho riguardato con un po’ di nostalgia le fotografie che sempre mi daranno un poco di nostalgia. Ho guardato il mio appartamento e soprattutto ho fissato la libreria, i libri addormentati sulle mensole. E a quel punto ho cominciato a sentire un suono strano, un piccolo dolore in pancia. Ho pulito un paio di bicchieri che avevo lasciato sul lavello prima di partire, ho fatto una telefonata e ho scritto una mail, dimenticando per qualche minuto il suono e il dolore. Poi, forse non per sbaglio, ho riguardato i miei libri, che hanno fatto ritornare la strana tensione di prima, il suono e la fitta. Non solo i libri, ho guardato, ma anche la mia scrivania, il televisore, la poltrona e le altre cose che rendono lievi i miei giorni. Senza tutte queste cose, ho pensato, non potrei stare bene. E allora ieri sera, nel centro di casa mia, ho capito che lentamente, secondo dopo secondo, i miei libri, che tanto mi hanno dato, mi stavano riprendendo per la manica e si stavano rimpossessando di me. 

Qualche giorno fa ho visto in mare una piccola pianta che avvolgeva con le sue corte dita qualsiasi cosa la sfiorasse. Forse era il movimento dell’acqua a renderla vorace, non so dire, ma seppelliva le conchiglie e i sassolini che facevo cadere, dall'alto, in acqua. Ecco, ieri ho sentito che quella piccola e per niente pericolosa pianta non era solo in mare ma anche in casa mia, nelle mie poche stanze, sulle mensole, attaccata alle pareti, sul mobile, sulla scrivania, nella libreria. Gli oggetti, con un dolce ondeggiare, mi stavano prendendo. Le cose non mi appartengono, sono io che appartengo a loro. E per questo mi piace chiudere la porta di casa e partire senza voltarmi: per scappare dall'alga vorace e insidiosa senza la quale, normalmente, non potrei stare.

domenica 16 febbraio 2014

Fare teatro

del Disagiato



Attaccato alla bacheca che ho davanti alla mia scrivania ho riscoperto un foglietto, coperto da una cartolina e da un’altro foglietto, con scritto: …resta comunque il principio, classicamente inglese, che un portiere è costretto a volare, dunque a fare teatro, soltanto quando si trova mal piazzato. È questo un assioma del quale ci si dovrebbe ricordare sempre, dal momento che troppi se ne dimenticano spesso e volentieri. Non so più di chi sia la citazione. Ho ripensato a quante volte sono riuscito, in vita mia, a ricucire gli strappi (il più delle volte no); ho ripensato agli applausi emozionati che ho fatto a chi ha scavalcato, con non poche difficoltà, certi dolori, a chi ha rimediato ai propri errori, che potevano addirittura essergli fatali. La vita è fatta così, e siamo bravi se riusciamo a recuperare ciò che ci sembrava perduto, se siamo abili, mentre subiamo l'emorragia dei giorni, ad allontanare le emergenze, le crisi. Ci vuole saggezza e intelligenza, concentrazione e a volte delicatezza. Però meglio di noi, forse, è chi ha imparato a ben piazzarsi prima, o molto prima, degli eventi, anche se è vero che non tutto è prevedibile e calcolabile.


giovedì 13 febbraio 2014

La nostra serietà

del Disagiato

Da sempre mi stupisce il successo che gli Elio e le storie tese hanno conosciuto grazie a noi. Sono bravi musicisti (lo sono, eccome), ma li ho sempre considerati un gruppo che fa ridere e basta. A me non fanno ridere, però comprendo i sorrisi e le sghignazzate del loro pubblico. Alcuni miei amici e anche alcuni intellettuali – Claudio Giunta ne parla quasi con commozione nel suo ultimo libro, Una sterminata domenica – pensano che siano dei geni, che abbiano aggiunto un qualcosa di davvero importante alla cultura e alla bussola che noi tutti dobbiamo o dovremmo utilizzare per capire le cose del mondo, per inquadrare meglio i fatti politici del nostro paese. Ad esempio, come posso giudicare Silvio Berlusconi o Matteo Renzi se ho costruito la mia serietà con le parole di Elio? In un racconto di Luciano Mastronardi un maestro chiede ai suoi scolari di fare questo tema: Perché dobbiamo esseri seri? Ecco, perché? Non lo so, davvero. Forse per coerenza, forse per salvaguardare la nostra intelligenza, forse per mantenere a debita distanza ciò che serio non lo è. Ciò che non è serio non è il male, ma è qualcosa che secondo me non ci aiuta. Sono bellissime le canzoni di Elio e degli Skiantos, ma sono canzoni comiche, buone per le feste infantili che ogni tanto vogliamo concederci. Però vorrei tanto, da moralista, che non fossero niente di più, che non facessero parte della nostra, scusate il termine, formazione. Spero di aver detto bene quello che volevo dire.


martedì 11 febbraio 2014

La banalità degli esseri umani

del Disagiato

Volevo segnalarvi un brano di un articolo di Mario Sconcerti pubblicato lunedì sul Corriere della Sera. Come in quasi tutti i suoi libri e articoli si parla di calcio, ma, come già ho scritto in passato, non solo di questo. Tanto tempo fa dissi a una amico che il cinema mi piaceva ma che purtroppo non amavo molto, come li amava lui, i film di guerra. Lui allora mi consigliò di guardare "La sottile linea rossa" e "Full Metal Jacket" (e altri ancora) perché quelli non erano film di guerra ma film su esseri umani che facevano la guerra o pensavano alla guerra. La carneficina e le logiche militari in quelle pellicole erano ridotti a contesti, stavano sullo sfondo. E quei film li apprezzai tantissimo, in effetti (non amavo i gialli e i polizieschi, ma dopo aver visto "Heat - La sfida" o "L’ultima missione" i miei gusti hanno conosciuto qualche modifica). Questo per dirvi che Mario Sconcerti scrive non di calcio ma di esseri umani che fanno e pensano calcio, rintracciando difetti e virtù, parlando certamente di noi. Noi, che magari non siamo tifosi, appassionati, giocatori o allenatori. In un libro di Gianni Brera che si intitola "Il mestiere del calcio", la prefazione incomincia così: Veniamo subito al dunque: Gianni Brera è ancora attuale nel calcio stramilionario e frenetico d’oggi oppure è archeologia pallonara? Se lo chiedono soprattutto i più giovani pensando a noi senzabrera come inguaribili nostalgici di un calcio che fu. Balle! L’uomo che ha inventato la letteratura sportiva è più che mai attuale perché lo è il suo modo di intendere il calcio, di descriverlo valorizzando la tecnica e il gesto atletico, dando alle cronache sportive una dignità che prima non avevano... A me sembra invece che Brera è ancora attuale per un altro motivo, e cioè perché scriveva non di calcio e ciclismo (non solo) in un certo modo, ma perché scriveva di esseri umani come noi (con tanti limiti, follie, difetti e malinconie come noi) che praticavano il ciclismo o altri sport. Così fa Mario Sconcerti (forse anche di più), che secondo me è uno scrittore straordinario. 

Ecco il brano, sulla Juventus e il suo allenatore, dopo un 2 a 2 con il Verona: 

Nelle ultime cinque partita ne ha subiti 7, nelle precedenti nove uno appena. C’è qualcosa che ha smesso di essere un meccanismo esatto, ma non è chiaro cosa. Conte parla di mancanza di umiltà. Mi sembra troppo grave. Fosse vero significherebbe un cambio psicologico di troppi gradi, non si passa in un giorno dall’umiltà alla presunzione, succede qualcosa nel mezzo che determina. Mi sembra anche una malattia troppo facile da raccontare. Elimina gli squilibri tecnici e la forza degli avversari. È in sostanza una diagnosi presuntuosa proprio quella che denuncia la mancanza di umiltà. Forse Conte dovrebbe esaminare anche se stesso nella cifra del conto. Essere nettamente primi e negarsi il silenzio stampa la domenica solo se si è sotto contratto, cioè solo se girano soldi, è professione d’insofferenza, non di umiltà. La stessa che si rimprovera alla squadra. Se chiudi tutto in una torre d’avorio, evitando a te e agli altri la banalità degli esseri umani, non puoi meravigliarti se i tuoi giocatori alla fine credono davvero di essere avorio (…)

sabato 8 febbraio 2014

La vera povertà

del Disagiato

Ieri sera ho guardato per una buona mezzoretta, o forse anche di più, la trasmissione di La7 Le invasioni barbariche e per ben due volte – la prima volta è stata quando la Bignardi, senza alcun rispetto per i telespettatori, faceva l’amicona con Severgnini; la seconda volta quando la Bignardi, Belen e un altro ospite parlavano di omosessualità e suicidio come se stessero parlando di gelati – ho pensato che la mia limitatezza economica non sta nel fatto di non potermi permettere di comprare i libri, ma nel non potermi permettere Sky. Non è elegante parlare di soldi, scusatemi, ma di libri, in casa mia, ne entrano sempre. Entrano anche se io non sono un benestante. A volte devo fare qualche sacrificio o acquistare libri usati, è vero, però alla fine ottengo quello che voglio. L’altro giorno sono andato al Libraccio e ho chiesto al libraio: avete tra i vostri libri usati “Chi è il mio prossimo” di Adriano Sofri? Sì, mi ha risposto il libraio. E insomma, con pochi spiccioli, e al primo colpo, mi sono preso un libro che cercavo. 

Ieri sera ho pensato che non è così grave se i nostri politici non trovano i soldi per aiutare i lettori meno facoltosi. Lo Stato, ho pensato per pochi allucinati secondi, dovrebbe invece aiutare chi vuole guardare un po’ di tv (lo facciamo tutti, immagino) ed è costretto a guardare il programma di Daria Bignardi, che è un programma in cui si parla costantemente di Matteo Renzi (vi ricordate quando le reti Fininvest convinsero i nostri genitori, che a differenza di noi hanno studiato e letto poco, a votare Silvio Berlusconi parlando sempre di Silvio Berlusconi?), in cui le cose serie non vengono mai dette con serietà, in cui si passa da un argomento all’altro, da un sentimento all’altro, in modo schizofrenico e caotico. Poi invece ho pensato che magari anche il livello intellettuale dei programmi di Sky e la professionalità di chi ci lavora non sono poi così alti. Non so che dire, davvero. Rimane che con tutta la mia ben costruita lucidità ieri sera ho spento la televisione e mi sono rimesso sul mio solito binario: bisogna spingere la gente a leggere, incentivare, promuovere, scontare.