domenica 31 marzo 2013

Io penso a tutte quante le rotture, e tu...



del Disagiato

Deve essere un difetto della mia memoria ma Franco Califano me lo ricordo più come un personaggio della tv buono da prendere per il culo per la parlata biascicata o per la passione sua per le donne e la vita notturna, che come cantante nostalgico sentimentale di borgata, come scrivono ora i giornali. In questi ultimi anni era diventato la caricatura di se stesso e il carico ce lo metteva lui e ce lo mettevano i conduttori simpatici che lo ospitavano e lo facevano cantare per qualche minuto, trattandolo come l'ultimo testimone di un mondo che poi è esploso o si è inabissato per sempre. Magari è un difetto della mia memoria ma anche il momento canoro andava a inserirsi nel grande circo televisivo che si innalzava quando Califano si metteva davanti alle telecamere: signore e signori ora una cosa davvero strana, un cantante che canta in romanesco di gente di borgata. Come se il dialetto e la borgata e le donne e il cuore e gli amici e la nostalgia e la povertà appartenessero a un contesto che male s’incastra con le nostre vite e i palinsesti televisivi che abbiamo tutti insieme costruito in questi anni, mattone berlusconiano dopo mattone berlusconiano. A ottobre Lorella Cuccarini ha ospitato nel suo programma Edoardo Vianello e Franco Califano, e la presentatrice ha chiesto che Roma fosse quella della loro amicizia. Califano, come se avesse le parole in bocca da settimane, è intervenuto per dire che la Roma di Vianello era una Roma e la sua era un'altra; Vianello era una persona serissima mentre lui, Califano, serio lo era un po' meno. Ecco, non che la domanda fosse stupida, ma la risposta la trovo davvero intelligente e pure elegante, perché Califano, in televisione, a volte, era proprio così, si strappava il vestitino che gli davano nello studio televisivo per mostrare che in fondo, lui, un punto di vista poetico, lucido e personale ce l’aveva davvero per scrivere canzoni e poesie. E infatti queste canzoni, come una volta, ultimamente le cantava non solo in televisione.

sabato 30 marzo 2013

Gli altri

del Disagiato

“Ma com'è possibile che lei mi sa solo consigliare cose tristi?” Me l’ha detto qualche giorno fa una cliente, alla quale cercavo di consigliare un libro tra i tanti libri della libreria. I titoli che proponevo erano in effetti “cose tristi”, tristissime, storie di uomini o donne che rimangono soli o muoiono in solitudine. Cosa c’è di peggio al mondo della solitudine e della morte? Altri clienti, in passato, mi hanno fatto notare questa mia criticabile tendenza e la risposta che arriva per respingere la mia idea di letteratura è più o meno: già la vita è triste, se poi leggiamo anche libri tristi ti raccomando. Ai clienti, ovviamente, non dico mai quello che nel profondo temo e cioè che spesso la letteratura - e, già che ci sono, aggiungo il cinema, un altro modo di raccontare storie - ci viene incontro non per, come abbiamo pensato molte volte, insegnare, ma per confermare quello che sappiamo già: la vita è dolore inutile, e non c’è rimedio. 

Martha Nussbaum, nel suo libro Non per profitto (il Mulino 2010), partendo dai sistemi educativi degli Stati Uniti e dell’India riflette su quale ruolo abbia oggi l’insegnamento delle materie umanistiche. È una domanda che serve a far dire all’autrice che oggi, soprattutto nella parte occidentale del mondo, si tende a dare alla cultura umanistica un ruolo marginale. “La spinta al profitto induce molti leader a pensare che la scienza e la tecnologia siano di cruciale importanza per il futuro dei loro paesi”. Lo studio dell’arte, dei classici, della storia non può, invece, portare ricchezza e per ciò le ore da dedicare a queste materie diminuiscono. L’autrice non nega che esista un collegamento tra scuola e sviluppo economico, ma cerca di stabilire, guardando anche alle esperienze passate e ascoltando la voce di chi questo passato l’ha vissuto, di cosa la scuola si debba nutrire. Tullio De Mauro, nella sua bella introduzione, scrive: “Non si tratta di negare quel collegamento, come fa chi pensa che con la cultura non si mangia. Si tratta di leggerlo nella complessità delle vicende educative e storiche”. Il libro riporta i dati, dati semplificati, riguardanti le relazioni tra sviluppo economico e istruzione tra il 1950 e 2010. Nel 1950 la popolazione mondiale aveva un’istruzione media di 3,2 anni, nel 1980 di 5,3 anni e nel 2010 di 7,8 anni. La scolarizzazione ha portato ricchezza o forse è l’economia che ha dato terreno fertile alla scuola e al sapere, ma è a questo punto che Martha Nussbaum accende la prima scintilla del libro: basta una buona coincidenza tra sviluppo economico e sviluppo scolastico per dare anticorpi a un paese democratico? Il libro esiste per dire no e il sottotitolo sintetizza molto bene l’argomento che abbiamo davanti: Non per profitto – Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica. 

sabato 23 marzo 2013

Novantanove centesimi

del Disagiato

Un mese fa circa sugli scaffali della libreria sono arrivati dei libri che costano solo novantanove centesimi. Appartengono a una nuova ed economicissima collana della Newton Compton e per il momento i titoli disponibili – la maggior parte sono classici – sono dodici. Tra un paio di mesi, se ricordo bene, dovrebbero arrivare altri titoli della stessa collana, sempre a novantanove centesimi, naturalmente. La responsabile della libreria, che deve in qualsiasi modo far tornare i conti, si è lamentata perché con quel prezzo il guadagno, per noi, è bassissimo. La Stampa, il 17 marzo, ha pubblicato un articolo che riporta altre lamentele, tra le quali quella di un libraio che afferma che l’idea dei libri a 99 centesimi non è una promozione vera della lettura, ma una promozione commerciale: “A un libraio richiedono la stessa cura e attenzione di qualsiasi altro libro. Li devi spacchettare, sistemare, disporre, occupano spazio, ma a me costa più battere uno scontrino, di quel che guadagno sulla vendita di uno 0,99”. C’è anche chi ha fatto notare che in questi piccoli volumi si pubblicizzano altri libri della stessa casa editrice, la quale trova così una via molto originale e furba per sponsorizzarsi. I volumi in questione, aggiungo io, non sono né eleganti né pratici e la carta è di pessima qualità, un po’ come quella dei libri economici della Feltrinelli, che però, come ben sapete, costano anche sei o sette euro in più. 

Vorrei anche precisare che tutti i libri di tutte le case editrici pubblicizzano, nelle ultime pagine, altri libri dello stesso autore che avete tra le mani o di altri autori. La pubblicità, insomma, la fanno tutti o, per non forzare il discorso, quasi tutti. La Newton Compton, con i libri a 99 centesimi, ha fatto una promozione commerciale e non una promozione culturale? Sinceramente è da quando lavoro in libreria che ho notato questa propensione agli affari delle case editrici. Gli istant book, per fare solo un esempio, vengono scritti e pubblicati in fretta e furia non per deludere le aspettative dei lettori che vogliono avere notizie e dettagli su avvenimenti recenti, ma per non farsi bruciare il terreno dalle case editrici concorrenti: guadagna denaro il primo che arriva. E ovviamente non voglio immaginare la fatica e l’ansia dell’autore che deve fare subito, presto, in fretta, prima degli altri. Gli istant book, quindi, per una promozione alla lettura? No, per me gli istant book sono una promozione commerciale, come promozione commerciale sono i Newton Compton a 99 centesimi.

giovedì 21 marzo 2013

Il mio amico Vincenzo


del Disagiato 

Da un paio di mesi, quasi tutti i giorni, entra in libreria Vincenzo, ex muratore, in pensione da poco, completamente disinteressato ai libri e a quello che i libri hanno da dire o da raccontare. Entra in libreria per far passare un po' del suo tempo e per guardar le donne, e lo fa, questo, con un volume tra le mani, fingendo di leggere, con gli occhi che vanno oltre le pagine. Qualche settimana fa, di pomeriggio, ho incontrato Vincenzo al supermercato, in fila alla cassa e così, riconoscendoci, ci siamo lamentati sulle cassiere, tutte le cassiere del mondo, che lavorano troppo lentamente e poi, dopo due o tre altre cose dette per circostanza, ci siamo presentati con una forte e simpatica stretta di mano. Da quel momento per Vincenzo sono diventato un punto di riferimento. È vero, non lo nego, la sua occupazione principale, in libreria intendo, è quella di osservare le belle donne che consultano volumi d’arte o romanzi, ma è anche vero che questa sua principale occupazione è stata affiancata dalle urgenze e esigenze dell’amicizia. Vincenzo entra in negozio e mi racconta dei suoi denti che gli fanno male (qualche giorno fa, davanti a me e ai clienti, ha spalancato la bocca per mostrarmi un dente che non c'è più), dei suoi figli, dell’orto e del Milan. Una volta, con voce alterata dalla tristezza, mi ha detto che la moglie non vuole che lui stia troppo in casa. "Non vuole che me ne stia tutto il giorno sulla poltrona, così esco e vengo qui da te”, mi ha confidato. Vincenzo, che da quando è in pensione si sente come in trappola, cacciato dalla moglie va in libreria a trovare il libraio stanco. Buona trama per un racconto o per un film, vero?

In questi ultimi giorni, quindi, la mia impressione è che la nostra amicizia si stia rafforzando e che il suo interesse per le belle donne stia diminuendo. Magari mi sbaglio, ma ho come la sensazione che io, per Vincenzo, stia diventando come una persona speciale. Si confida, mi chiede come sto, mi racconta quello che va e che non va e poi, mentre mi vede indaffarato, mi dice: “Adesso vado a prenderti un bel caffè, così ti riposi un po' ”. E così, dopo qualche minuto, ritorna in libreria con una tazzina di caffè su un vassoio.

venerdì 15 marzo 2013

Uno zaino a forma di nuvola (Parte II)

È uscita la seconda parte del post dello Scorfano. Lo trovate qui.

Cosa si diventa

del Disagiato


Qualche giorno fa tra me e una mia collega c’è stata un po’ di tensione. Farei prima a dirvi che abbiamo litigato, ma temo che questo non sia vero, visto che abbiamo soffocato sul nascere qualsiasi discussione e poi ci siamo messi dietro il nostro scudo, in silenzio, in attesa che capitasse qualcosa che andasse a peggiorare o migliorare i nostri stati d'animo. Questa tensione c’è ancora, l’ho notata anche ieri pomeriggio quando lei è entrata in negozio per incominciare il suo turno di lavoro senza rivolgermi una sola parola. Ciao, mi ha detto freddamente, e poi ha preso a fare quello che doveva fare. Io, ovviamente, mi sono comportato come si è comportata lei, l’ho salutata e poi ho continuato a sistemare i libri senza guardarla. Adesso però vi racconto cos’è successo l’altro giorno. Allora, la mia collega oltre ad essere molto più giovane di me è anche molto, ma molto, più euforica di me. Anzi, forse non è euforica ma un qualcosa di diverso. È una ragazza che parla tanto e quando le capita di ritrovarsi impantanata in lunghi momenti di silenzio, cerca di riempirli, questi momenti, con una battuta, con un aneddoto, con uno scherzo. E con me questi lunghi momenti di silenzio capitano spesso, un po’ per una mia tendenza a chiudermi davanti alle persone espansive e esageratamente ottimiste e un po’ perché effettivamente sono una persona che parla poco (o almeno così mi dicono). 

Insomma, l’altro giorno la mia collega mi ha fatto notare che quando lavora con me le sembra di lavorare con un estraneo e io, sia per difendermi sia per dichiarare il mio punto di vista, le ho caldamente consigliato di andare a vivere a Disneyland, nel mondo perfetto e colorato. E poi le ho anche detto che dovrebbe incominciare a crescere. Ecco, sì, le ho detto queste cose e lei, come già vi ho anticipato, si è offesa. 

giovedì 14 marzo 2013

Uno zaino a forma di nuvola (Parte I)

Potete leggere la prima parte di un post dello Scorfano, che ha rotto, anche se solo parzialmente, il suo silenzio. 

Sono, come tutte le mattine, nella mia quinta liceo, davanti a ragazzi che conosco da tre anni e che sono nel frattempo diventati grandi, quasi uomini e quasi donne, pronti a partire anche se non sanno ancora verso dove e forse nemmeno il perché. Sono lì davanti e parlo loro di Montale, e dico che c’è stato un critico, una volta, che ha detto che i giovani soldati che partivano per il fronte durante la Seconda guerra mondiale, se erano buoni lettori, partivano con la raccolta montaliana “Le occasioni” custodita nello zaino, in previsione di notti che avrebbero potuto essere lunghe e solitarie. Mi sembra una bella immagine, e allora mi fermo un attimo per vedere se anche a loro, magari, sembra. E c’è una voce, dal fondo dell’aula (ed è la voce di Paolo), che dice: «E noi?» E io chiedo: «In che senso noi?» E allora Paolo insiste: «Cosa porteremo noi, nel nostro zaino, quando dovremo partire per la guerra?» (la prima parte della storia continua qui)

mercoledì 13 marzo 2013

Modi di raccontare



del Disagiato

Asghar Farhadi è il regista iraniano di due bellissimi film, Abou Elly e Una separazione, che raccontano di come oggi  l’Iran sia incapace di essere un paese libero, sincero e trasparente. Le vere vittime sono le donne, che non devono, secondo una morale in ostaggio della religione del paese, superare un certo grado di libertà. E quindi, per avere la libertà, le donne mentono. Queste parole rischiano di girare a vuoto (di essere aria fritta, anche), oltre che essere riduttive, quindi vi consiglio, se già non l’avete fatto, di vedere uno dei due film se non tutte due. Non fatevi spaventare da “iraniano” : iranianio in questo caso non significa lento, noioso, criptico e tutto ciò che spesso, e non a torto, attribuiamo al cinema che non ci è famigliare. In Una separazione le tre protagoniste mentono o non dicono per non far sapere a qualcun altro come stanno le cose. Ecco, guardando questo film ambientato in Iran ho capito (e spero di aver capito bene) che i diritti di cui spesso parliamo coincidono con la visibilità, con il detto. Insomma, cosa significa avere un diritto? Avere un diritto significa avere una vita, una società, che ci permetta di non nascondere noi, il nostro pensiero e i nostri sentimenti. Cosa succede quando invece viviamo una vita segreta? Bene, guardate i film di Asghar Farhadi. 

Una delle protagoniste di questo film deve nascondere al marito il suo lavoro (badante di un anziano signore con seri problemi comportamentali  e motori). Il marito, dopo una drammatica vicenda, viene a scoprire il tutto e da qui parte la riflessione del regista iraniano. La vera forza dei film e della riflessione di Farhadi sta quasi tutta nell'universalizzare la storia, nel rendere la sceneggiatura una vera e propria parabola. Ho fatto delle ricerche e non mi sembra che il regista abbia mai avuto delle grane per via delle sue pellicole. Ovviamente posso sbagliare e quindi attendo una secca smentita. Però, intanto, mi chiedo: come mai un film come Argo ha fatto infuriare Teheran e i film di Farhadi no?

Gli spazi

del Disagiato

Matteo Renzi qualche giorno fa è stato ospite di Fabio Fazio e a un certo punto del suo discorso ha detto  (dal nono minuto) che a Firenze “in tre anni abbiamo raddoppiato gli spazi delle biblioteche: erano 6.000 mq ora invece sono 11.000 mq e contemporaneamente siamo passati da 570.000 utenti annui delle biblioteche a 1.100.000 utenti l’anno; sono ancora meno degli outlet, vorrei essere chiaro, ma è un passo in avanti”. Renzi, come spiega dopo, ci fornisce questi dati per sottolineare che con la cultura si può mangiare, così come si può mangiare con il turismo e con l’agroalimentare (“ero da Carlo Petrini, giovedì, all’università di Pollenza”). Premetto che sono felicissimo che il sistema bibliotecario fiorentino goda di ottima salute e che i metri quadri delle biblioteche siano quasi (quasi) raddoppiati però non capisco, del suo ragionamento, perché mai gli spazi o gli utenti - o tutti e due, forse - delle biblioteche debbano essere superiori a quelli degli outlet. Che società sogna Renzi? Anzi, facciamo così: che società sogno io, che sono una persona dai modi urbani, che ha cuore il destino del sistema bibliotecario italiano e del silenzio che regna nei suoi spazi? 

Ho smesso di sognare da parecchi anni, però vorrei tanto vivere in un paese in cui le biblioteche funzionino come si deve e con ciò intendo dire che ci siano tanti libri, che questi libri vengano curati e selezionati, che a curare i libri sia personale competente (e magari pagato per la sua importante professione), che le aule o sale siano accoglienti, calde d’inverno e già che ci siamo fresche d’estate, e che gli orari d’apertura contemplino aperture diurne e notturne, in modo tale che chi non può frequentare una biblioteca di giorno può farlo di sera o di notte. E poi, ovviamente, vorrei una società fatta di persone che non vedono l'ora di usufruire dei servizi di una biblioteca. Renzi, se ho capito bene, vorrebbe vedere con i propri occhi lo stesso pezzettino di mondo che vorrei vedere io: un mondo di lettori, di utenti curiosi, di cittadini che chiedono al bibliotecario una copia da consultare delle Traduzioni auliche e popolari nella poesia del Regno di Napoli in età angioina oppure una banale copia di Angeli e demoni, da leggere a casa dopo cena o poco prima di andare a letto.

mercoledì 6 marzo 2013

I clienti esigenti

del Disagiato


La responsabile della libreria nella quale lavoro ieri pomeriggio mi ha chiesto se potevo ordinare qualche libro di filosofia. “Ne sai più di me”, mi ha detto e vi confesso che mi ha fatto piacere, come a un bambino fa piacere sentirsi dire “sei stato davvero bravo”. Nei luoghi di lavoro diventiamo tutti un po’ più infantili, non pensate? Il progetto di rimpolpare i pochi scaffali dedicati alla filosofia è stato affidato a me, quindi, non perché io sia un esperto, ma semplicemente perché ne so un po’ di più dei miei colleghi, ai quali, invece, verranno affidati altri settori: c’è chi ne sa un po’ di più di libri per l’infanzia, ad esempio, e chi ne sa un po’ di più di libri di fantascienza. Il libraio bravo dovrebbe sapere tutto, ci mancherebbe, ma trovo ragionevole il fatto che ognuno di noi sia, diciamo così, forte in alcune cose e meno forte, se non proprio ignorante, in altre. Venite da me e provate a chiedermi l’ordine cronologico delle pubblicazioni di George Martin. Ecco, dopo aver balbettato qualcosa d’incomprensibile, chiamerei la mia collega che su Martin, e sulla letteratura di fantascienza in generale, sa tutto. Arriverà il giorno, forse, in cui i librai saranno impeccabili, ma temo che quel giorno sia distantissimo. 


La richiesta della nostra responsabile segue un suo importante e commosso discorso che ci ha fatto qualche giorno fa. Ve lo riassumo, ovviamente. Il discorso faceva così: “Siccome la crisi ci sta facendo morire, dobbiamo curare anche quei settori che fino ad ora abbiamo sottovalutato. L’altro giorno un cliente mi ha chiesto come mai abbiamo così pochi libri della casa editrice Laterza e io gli ho spiegato che se nessun li compra, i libri della Laterza, non possiamo tenerli. Se tenessimo la maggior parte del libri che vengono stampati, saremmo sommersi, come sapete bene anche voi. Però adesso dobbiamo cominciare a curare anche i clienti più esigenti”. Questo è quello che ci ha detto la nostra responsabile, questa è la sua strategia per non far affondare la barca che si sta inabissando lentamente, per colpa della crisi e per colpa delle vendite online. 

lunedì 4 marzo 2013

La nostra giornata di caccia

del Disagiato

Il calendario geologico consiste nella relazione tra la vita sulla terra e un anno solare. È come lo conosciamo noi, e cioè fatto dai dodici mesi con i suoi giorni, però dentro ci sta la vita della terra, tutta quanta, dalle origini (quindi gennaio), e cioè 4.550.000.000 anni fa più o meno, fino ad oggi (quindi 31 dicembre), a questo momento in cui sto battendo tasti sulla tastiera del computer dopo la mia giornata di lavoro in libreria. Questo calendario serve per mettere in una dimensione più umana la storia del nostro pianeta, che una volta si pensava coincidesse con la storia degli esseri umani e che ora, invece, si sa non coincidere più. Tempo fa, infatti, la Bibbia diceva che insieme alla terra Dio aveva creato l’uomo, e così tutti quanti pensavano che prima dell’uomo, di Adamo ed Eva, non ci fosse storia, passato. Poi, grazie a quello che potremmo chiamare in maniera riduttiva “progresso”, alcuni scienziati del settecento hanno cominciato a sostenere senza timidezza che la terra c’era già prima dell’uomo: molto prima dell’uomo. Come facevano a sapere che il passato era molto più passato di quello che si ritenesse? Tramite lo studio dei fossili, ad esempio. Qualcuno, poi, verificò che dove il quel momento c’era la montagna moltissimo tempo prima invece c’era il mare. “Ma dai, come puoi sostenere questa cosa così assurda”, chiedeva la gente incredula, e un po’ rozza, allo scienziato. “E secondo te cosa ci fa una conchiglia sul cocuzzolo della montagna?”, rispondeva lo scienziato. 

Insomma, molto lentamente i mari si erano ritirati o spostati, e con l’avverbio lentamente dobbiamo pensare ad anni che corrispondono a cifre con molti zeri. Pian piano, litigando anche tra di loro, gli studiosi sono arrivati a stabilire che “l’aiuola che ci fa tanto feroci” ha circa 4.550.000. 000 anni e che in tutti questi anni sono accadute tantissime cose: si è formata la terra, poi l’ozono, l’ossigeno, l’atmosfera, hanno fatto la loro comparsa le piante, gli animali, i dinosauri, i mammiferi, la terra ha cominciato a muoversi, i mari a ritirarsi e a spostarsi (e le conchiglie sono rimaste lì, per noi, a raccontare il passato), i dinosauri sono scomparsi a causa dell’estinzione e poi, alla fine, sono arrivati gli ominidi, primo anello di una lunga catena che conduce a noi. Non vi sono venute le vertigini?

venerdì 1 marzo 2013

La possibilità di un'isola


Il 6 febbraio, su Radio3, durante la puntata del giorno del programma Fahrenheit, il vice presidente vicario dell’”Associazione librai italiani” Paolo Ambrosini ha affermato che le librerie “non devono essere delle isole”. Si parlava della crisi che sta colpendo il settore e di prezzi, e con la sua affermazione intendeva dire, se ho capito bene, che le librerie devono tener conto di quello che capita fuori: perché le librerie ritornino a funzionare, devono, prima di tutto, ascoltare le voci o le richieste di chi sta all'esterno. Ciò dovrebbe accadere per non far morire le librerie e, si spera, chi ci lavora. Qualche giorno fa ho scritto più o meno la stessa cosa e cioè che “il mondo dei libri” - e con questa espressione intendo mettere al centro del discorso anche le case editrici, gli scrittori, le librerie, le biblioteche, i librai e i bibliotecari - si comporta a seconda di come si comporta il mondo intero. Se le librerie si stanno ammalando significa che la società sta andando da un’altra parte, da sola, con obiettivi diversi da quelli precedenti. La cultura, purtroppo, ha la forma dell’acqua e cioè la forma che le viene data, quella del recipiente che lo contiene. Ecco, prima che le librerie chiudano e i librai rimangano a casa senza stipendio, bisogna fare uno sforzo affinché tra il dentro e il fuori continui ad esserci un discorso comune e soprattutto condiviso. Le librerie non devono essere delle isole, appunto. 

Prima di proseguire, chiedo scusa ai bibliotecari per aver messo nel cono di luce loro e me, come se le biblioteche vendessero libri. Chiedo scusa, quindi, però vi assicuro che la mia passione per la carta stampata, e quella di tanti altri librai, non è minore a quella di un bibliotecario. E poi i libri, penso, sono sempre quelli, sia che stiano su uno scaffale di una stanza silenziosa e magari elegante, sia che stiano sul ripiano di un negozio di un centro commerciale. Detto questo, mi chiedo ancora, visto che ne avevo già parlato, cosa sono i libri e a cosa serve leggerli.